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Published: August 5th 2020
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Tutto sembra ancora normale quando arrivo in Egitto il 5 Marzo 2020 per una continuazione fuori programma del viaggio africano appena concluso, poi l'11 Marzo l'OMS dichiara la pandemia. Il 19 viene chiuso l'aeroporto internazionale; il giorno 24 viene annunciato un coprifuoco che inizierà il giorno seguente dalle ore 19.00 alle ore 6.00: tutti i negozi, ad eccezione di farmacie, alimentari e panetterie, dovranno chiudere alle ore 17 e rimanere chiusi per tutto il week-end (venerdì e sabato); i ristoranti potranno servire solamente cibo da asporto, i caffè lungo le strade dove bere un buon tè sono anch'essi desolatamente serrati. Vengono isolate alcune province e città; viaggiare è ancora possibile, sconsigliato o vietato del tutto: non riusciamo bene a capire. Rientriamo di corsa al Cairo, che sembra essere il posto più adatto nel quale poter rimanere aggiornati e ricevere notizie dalle fonti più attendibili. Installiamo il campo base in un ostello dotato di cucina proprio nel mezzo del Souk el Tawfikia, Downtown Cairo, a pochi passi da bancarelle di frutta, una panetteria, negozi di verdura e generi alimentari. Aspettiamo. La situazione non risulta particolarmente allarmante: un centinaio di contagiati al giorno, una decina di vittime, ospedali non in affanno, metropolitana aperta,
mascherine praticamente invisibili per la strada. La maggior parte degli stranieri, e quasi tutti i turisti, hanno già lasciato il paese: rimane solamente chi ci lavora, chi ha qualcosa dare fare o non ha nulla di meglio a casa. Le strade della città sono insolitamente tranquille e si animano improvvisamente solo verso le 17 quando lunghe file di mezzi riempiono i viali in direzione delle immense periferie. Durante il fine settimana il centro è del tutto privo di vita: l'ideale per lunghe camminate senza doversi preoccupare del traffico impazzito. La situazione in Europa si è nel frattempo aggravata e cominciano ad apparire le prime mascherine sui volti degli egiziani. Noi stranieri veniamo allora additati come untori e siamo puntualmente sbeffeggiati per strada da pestiferi ragazzini e ancora più odiosi adulti. Imparo così ad apprezzare l' "aristocratica" isola di Gezira, nel bel mezzo del Nilo, con il suo benestante quartiere di Zamalek dove poter passeggiare senza dare nell'occhio, confondendomi tra quello che rimane della un tempo folta comunità diplomatica residente in zona. Il cuore della città si è ormai trasferito nei sobborgi, gli unici luoghi in cui il coprifuoco riesce a diventare elastico e molti più negozi si arrischiano a tenere
alzate le serrande. La città vecchia, grazie ai suoi grandi mercati all'aperto, è l'unica zona del centro a non smettere mai di pulsare, e diventa così un piacevole passatempo girare tra i suoi vicoli alla ricerca di vecchi caravanserragli, cortili e porte in cui è ancora possibile ritrovare antiche colonne romane e resti di fatiscente architettura fatimide o mamelucca. Nel frattempo le ambasciate di alcuni paesi europei si stanno attivando per organizzare dei voli di rimpatrio: uno alla settimana per Londra, Parigi o Francoforte. Le giornate trascorrono tutte uguali, le orecchie sono tese nella speranza di ricevere notizie positive che non sembrano arrivare, le tiepide spiagge del Sinai sono ancora inaccessibili, il freddo invernale sta ormai lasciando il passo al gran caldo primaverile, il ramadan è ormai alle porte: è ora di tornare a casa....
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