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Tipica giornata di questo atipico inverno 2006/2007: sole e 15 gradi di temperatura. La stazione ferroviaria di Marsiglia è un ribollire di frenetiche attività umana. Masse di pendolari si muovono al mattino in direzione centro per poi rinculare alla sera in egual numero nella direzione opposta. Sarebbe come il mare con le sue due maree quotidiane se non fosse che quello non riposa il fine settimana. Ma oggi è giorno feriale e così ci sono i pendolari, ci sono gli occasionali viaggiatori come me, c’è la polizia spiegata in gran numero e ci sono quegli omnipresenti membri del sottobosco umano che, come gabbiani intorno a un peschereccio, non perdono occasione per raccogliere i frutti dell’altrui distrazione.
All’ostello avevo conosciuto Susanne, Olandese bionda e rubiconda cui mancano solo gli zoccoli di legno e le treccine per poter far da portabandiera ai Paesi Bassi alle prossime olimpiadi del folclore. È diretta in Spagna e decidiamo quindi di far un pezzo di strada assieme. In attesa del treno per Tolosa, sediamo sui gradini di fronte ad una delle uscite laterali della stazione mangiando pane e formaggio e parlando di stili di vita alternativi. Credo stesse dicendo qualcosa a proposito del “credere fermamente nella
natura positiva dell’uomo” quando uno di questi esseri dotati di natura positiva le ruba la borsa. La scena si sviluppa in un tempo talmente breve da risultare quasi irreale. Un giovane Marocchino (o Algerino, o Tunisino, un nordafricano insomma) ci passa accanto, arpiona la borsa di Susan e incomincia a correre verso la base delle scale. Susanne lo vede con la coda dell’occhio, salta con tanta rapidezza come fosse stata punta da una tarantola, aggancia la borsa dall’altro lato e grida qualcosa in olandese (un inno alla natura positiva dell’uomo, suppongo) all’attonito borseggiatore che, colto alla sprovvista, tentenna un attimo fra l’orgoglio e la paura ma molla infine la presa. Ci guarda dapprima con l’aria da cucciolo bastonato come chiedendo “non ditelo a nessuno”, poi, allontanatosi quanto basta per non ricevere un cazzotto sul grugno (o magari uno zoccolo olandese in testa) e accertatosi che i suoi compari sono più vicini che non la polizia, torna a girarsi verso di me allargando le braccia in stile rapper, come a voler dire “yo, yo, yo, non ho paura di niente, yo, yo, yo”. A parte di uno zoccolo olandese in testa, ben inteso.
Marsiglia è stata la mia quarta fermata
dopo Roma, Pisa e Nizza. Appena arrivato ho cercato l’ostello della gioventù e devo confessare che dopo tanti anni di viaggi e ostelli ancora non so bene perché mi ostini a farne uso incondizionatamente. In genere gli ostelli HI si caratterizzano -oltre che per i prezzi modici- per la locazione infelice. Dico, si chiamano ostelli della gioventù, saranno quindi pensati per gente che, 9 su 10, arriva in treno. E invece no: se la stazione si trova, mettiamo, nella zona ovest della città e i punti di maggior interesse storico-culturale nella zona nord, l’ostello si troverà a sud-est, matematico, non c’è nemmeno bisogno di chiedere. In compenso vi si incontrano di solito persone interessanti come la già citata Susanne, appunto. O come Paolo, uno studente di scienze politiche toscano che ho accompagnato un giorno giù alla città vecchia in cerca di… erbe curative.
La parte antica di Marsiglia mantiene intatto quel sapore genuinamente mercantile e mediterraneo che in poche città (a Napoli, ad esempio) ancora sopravvive. Nelle anguste viuzze che scendono verso il porto trovano ancora posto i venditori di generi alimentari al minuto, i bazaar d’aroma medio-orientale e quel genere di compravendita con anima che ci ricorda che
siamo persone, non vacche in attesa della mungitura. Qui, dove un mega-iper-maxi-Carrefour avrebbe problemi a causa della mancanza di mega-iper-maxi-parcheggio, anche la polizia non è troppo presente. In fondo, se non v’è padrone non v’è proprietà e se non v’è proprietà non v’è cane da guardia. E tanto, alla stazione di poliziotti ce n’erano a falangi e nessuno s’è accorto del tentativo di furto. È qui che, gomito a gomito con gli affari leciti viene portato avanti lo spaccio di droga al minuto. Paolo, illuminato, sembra avere un piano geniale per trovare ciò che sta cercando: “passeggiamo per un po’ e appena vediamo un qualche tipo losco lo avviciniamo e chiediamo”. Ora, la zona del porto di Marsiglia non è che sia rinomata per l’alta concentrazione di chierichetti e cercarvi un tipo “losco” è come cercare qualcuno con un tatuaggio in un carcere. E infatti tempo due minuti e sono i venditori ad avvicinarci. Paolo conclude il suo buon acquisto e ce ne torniamo all’ostello (all’altro estremo della città, ricordiamolo) a chiudere la giornata con del buon rosso francese. Per inciso, ho scoperto al museo municipale che gli antichi abitanti della Provenza importavano vino dall’Etruria e che furono i Romani
a dare il via in Francia alla precedentemente sconosciuta coltivazione della vite. Un altro mondiale vinto :-)
Prossima fermata: Carcassone. Un’intera cittadella medioevale circondata da una doppia cinta di mura. Stradine selciate non più amplie del passo di un carretto (era il modo in cui si stabiliva la larghezza di una strada nel medio evo), un intero castello costruito in appoggio su uno dei muri di cinta e una cattedrale, poi retrocessa al rango di semplice chiesa, poi ascesa di nuovo al rango di basilica. Il tutto conservato in maniera impeccabile. La prima cinta di fortificazione, il castello e la basilica vennero fatti costruire dai visconti Trencavel nei secoli XI e XII, quando questi erano i signori della regione, alternativamente alleati di Barcellona o Tolosa secondo le circostanze. Durante la crociata contro l’eresia catara, Carcassone divenne una roccaforte di questi ultimi fino alla sua caduta nell’anno 1209. A questo periodo appartiene la seconda cinta muraria, fatta costruire dal re di Francia, ora nuovo padrone, Carcassone, ormai considerata inespugnabile era diventata città di frontiera fra Francia e Aragona. L’importanza strategica della città restò immutata fino all’anno 1659 quando, col Trattato dei Pirenei, la linea di confine Ispano-Francese venne spostata più
a sud, presso quella attuale, rendendo così superfluo tale forte. Nel Secolo XIX la cittadella versava in condizioni pietose e le autorità militari stavano addirittura considerando l’idea di demolirla e solo grazie all’interesse dell’architetto Eugene Viollet le Duc e al patrocinio dell’imperatore Napoleone III la costruzione venne salvata e restaurata. Monsieur Viollet e i suoi discepoli (Viollet morì nel 1879) sono stati accusati da più parti di aver eseguito una restaurazione poco fidedigna a ciò che il sito doveva originariamente apparire. Non so se ciò corrisponda a verità, personalmente credo che un grande lavoro di ricostruzione storica sia stato portato a capo e che il processo d’immedesimazione del visitatore in ciò che la vita doveva essere a quei tempi sia di gran lunga più facile in queste condizioni che non di fronte a un cumulo di macerie maggiormente “fidedigne”.
A Narbonne mi ero separato dalla mia occasionale ed impavida compagna di viaggio, peccato perché una guardia del corpo sembra venir bene di questi tempi. Ma ancor più che di una guardia del corpo avrei bisogno di un interprete. Ogni volta che metto piede in Francia sento che se avessi speso tre anni saltando di liana in liana nella giungla
del Camerun anziché studiare francese, non possederei oggi peggior livello linguistico di quello che in realtà mi ritrovo. È frustrante entrare in una
boulangerie e dover ordinare ciò che è più facile pronunciare anziché ciò che davvero si vorrebbe mangiare. Soffrendo poi di complessi di inferiorità, ho la tendenza ogni volta che visito un Paese del quale possiedo minime conoscenze idiomatiche, a preparare in anticipo la frasi così da pronunciarle correttamente e con ragionevole dettaglio di vocabolario. Ma questa finisce sempre per rivelarsi un boomerang. Esempio: uno straniero entra nel vostro negozio e chiede “uno chilo del pane” voi sarete portati -se non a fare il saluto Sioux- sicuramente a rispondere in maniera semplice, come “si”, “ok” o altri simili ed inequivocabili monosillabi. Caso opposto: uno straniero (ma che voi non potete sapere che è straniero perché non ha ancora aperto bocca) entra nel vostro negozio e dice “buon giorno a tutti, giornata un po’ freschetta, no? Gentile signorina, potrebbe darmi un chilo di quel meraviglioso e sapido pane bianco?” voi -locali- sarete portati a rispondere in maniera altrettanto dettagliata ed è qui che io non capisco ciò che mi si sta dicendo, il mio bluff scoperto, arrossisco e indico ciò che voglio comprare prima di scomparire e mai più tornare.
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Marcolitaliano
Marcoelitaliano
Sempre più mitico
Autore: Markpenn Data: 4 Febbraio 2007 ciao man, mi manca da morire marsiglia, un'atmosfera mai conosciuta mezza francese e mezza africana che hai descritto alla perfezione e che spero vivamente un giorno di vedere; invece carcassonne è un mio viaggio recente ed in generale, se non hai ancora sconfinato nella "tua" spagna ti consiglio biarritz e bayonne! au revoir(il tuo francese deve essere come il mio spagnolo!) ciao