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Published: September 9th 2007
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Crazy Train di Ozzy Osbourne sarebbe stata la perfetta colonna sonora per questo lungo viaggio se solo non avessi perso il mio lettore mp3 dopo soli sei giorni dalla partenza...
Ci presentiamo al via in quattro: un italiano, uno svizzero, una inglese ed un pakistano, come nelle migliori barzelette: noi turisti, in tre, ci siamo portati 12 litri d'acqua, mentre il pakistano, che percorre regolarmente questa tratta e la sa lunga, da solo di litri se ne porta ben 15! Sul nostro viaggio cala l'ombra oscura di una falce minacciosa...
L' "espresso" Zahedan - Quetta sfreccia attraverso il deserto del Balucistan solamente due volte al mese a causa della pericolosita' di queste terre, popolate da temibili predoni a cavallo di veloci cammelli e da bombaroli che a settimane alterne piazzano bombe sui binari; d'altro canto c'e' chi sostiene che il vero motivo sia da attribuire alla biblica lentezza di questo convoglio, alla scarsa pulizia delle sue carrozze ed al suo costo, maggiore rispetto a quello dell'autobus che impiega 20 ore invece delle 35 del treno a percorrere questi 800 chilometri.
Ci ritroviamo cosi' in 4 passeggeri su tre carrozze: 3 strani turisti europei ed un astuto commerciante hazara che sfrutta gli
enormi spazi vuoti a disposizione riempiendoli con merce acquistata in Iran da rivendere poi in Pakistan.
Ci faranno compagnia una decina di vagoni merci carichi di datteri, un capotreno con grandi mustazzi, del personale delle ferrovie ed un gruppo di guardie armate, che non si sa mai.
Partenza quasi in orario alle 8.30 ed arrivo in dogana, dopo circa 150 km, alle 14.30; niente male come inizio. Qui le formalita' vengono sbrigate molto velocemente e, aggiunte 1,5 ore di fuso orario, ci ritroviamo magicamente a fare il nostro ingresso in Pakistan alle 16.00 in punto.
All'interno del nostro vagone la vita scorre tranquilla consumando oculatamente le nostre provviste e centellinando ogni millilitro di acqua consumata; quasi tutti i finestrini sono mancanti a causa delle fiondate dei piccoli bambini ribelli baluci che si divertono a prendere di mira questo minaccioso simbolo del potere centrale, e con lui i suoi sfortunati viaggiatori. Il vento soffia costantemente e molte volte, a causa di improvvise tempeste di sabbia, ci ritroviamo completamente ricoperti da un soffice e caldo strato di polvere marrone.
Il paesaggio e' dapprima montuoso, con diverse colorazioni varianti dal grigio al nero, dal rosso al verde; in salita si viaggia a passo
d'uomo, mentre in discesa si deve tirare il freno a causa della mancanza di stabilita' dovuta alla scarsa manutenzione, mancante piu' o meno dai tempi dell'impero. Finite le montagne la vista spazia su una pianura desertica sconfinata, punteggiata di tanto in tanto dalle magnifiche stazioni di questa vecchia linea, veri e propri gioielli d'antiquariato: tutte sono state ideate, ovviamente dai britannici, come dei veri e propri fortini, con alte mura difensive dotate di camminamenti, feritoie e pesanti porte d'accesso a prova di bomba; all'interno un giardino ed un pozzo per l'acqua.
Gli uffici lavorano ancora con mezzi dei primi del novecento, da poco si e' smesso di utilizzare il telegrafo, ancora funzionante, ed il verde viene dato con un complesso sistema di gettoni trasportati via treno da una stazione all'altra che, inseriti in una specie di grosso juke-box, permettono di dare il via libera; il gettone viene poi inserito in un grosso anello metallico che verra' preso al volo dal capotreno e portato alla stazione successiva. Se l'anello cade il treno si deve fermare e si ripete tutta la procedura; questo e' quello che ho capito.
Arriviamo finalmente a Quetta alle 22.00 della sera successiva e, dopo una fermata improvvisata
appositamente di fronte alla casa del commerciante per lo scarico della merce, facciamo il nostro trionfale ingresso nella stazione.
Questa citta' si rivelera' un grande mix di diverse etnie, dai piccoli ma fortissimi hazara ai giganti pashtun, dai riottosi baluci ai tranquilli punjabi, per finire con gli sfortunati afghani, ormai onnipresenti profughi di professione.
Ma per noi, reduci da settimane di digiuno iraniano, la vera attrazione di questa localita' sara' la cara vecchia bevanda alcolica a base di malto e luppolo, qui venduta, piu' o meno legalmente, in un piccolo anonimo negozietto blindato frequentato da tizi poco raccomandabili.
Due notti in un tranquillo hotel con grazioso giardino ci bastano per riprenderci dalla lunga pausa analcolica e siamo cosi' pronti per ripartire, ancora a bordo di un treno, alla volta del cuore vero e proprio di questo grande paese.
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Fabio
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