Puerto Varas y Pucon


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South America » Chile » Los Lagos » Puerto Varas
February 23rd 2016
Published: February 27th 2016
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Puerto Varas e Pucon si ubicano nella regione dei laghi in Cile. Che a me forse piace più della parte argentina. Come dice questa donnina del lago di Garda, il Cile è selvaggiamente spettacolare. Puerto Varas mi accoglie al tramonto, dove la cima roseggiante del vulcano Osorno si riflette sull'immenso lago Llanquihue, un lago grande come il Mediterraneo praticamente. Il vulcano Osorno è circondato da laghi, boschi, paesini e tutti li circonda con la sua stazza imponente e la figura ipnotica. Convinta dal padrone dell'ostello, francese di Nantes, il giorno dopo prendo la bici e me ne vado costeggiando il lago fino a Fruttillar, un paesino vicino. Fruttillar è un paesino vicino appena 32km solo andata, di cui 15 in salita. Arrivo in scioltezza, cioè sciolta da caldo e fatica. Mi butto nel lago gelato che fortunatamente blocca il processo di decomposizione. Torno a casa pedalando con i gomiti, che è l'unica parte che non mi fa male. Per oggi. Perché non contenta, sempre convinta da questo di Nantes, il giorno dopo me ne vado a fare una bella passeggiata in canoa a vedere il tramonto sul lago. Una bella passeggiata di 4-5 ore pagaiando per un lago grande come il mediterraneo....ed io non capisco perché continui a fidarmi di questi di Nantes. Quando arrivo a Pucon, lo scenario non cambia di molto. Ma almeno non sto in camera con gente che mangia aglio. Pucon è laghi e vulcano, entrambi Villarrica. Paesino turistico per eccellenza, patria indiscussa dell'outdoor activity, Pucon è anche una contraddizione di realtà tanto distinte quanto metafisica è la loro coesistenza. La riva del lago è Rimini. La guardo, piena di gente sui gommoni, moto d'acqua, ristoranti. Nella strada principale agenzie turistiche offrono ogni sorta di divertimento, dal rafting al canoing, hydrospeed e scalata al vulcano Villarrica, dal biking al canyoning. Ma aldilà, sulle pendici della montagna dorme la comunità Mapuche, un fossile vivente, un passato che respira, tramanda e resiste. Al caos, alla profanazione dei luoghi sacri, alla discriminazione e all'ilarità in fila al supermercato. La signora Rosario ha gli occhi piccoli e un sogno grande, far conoscere la sua storia per proteggere quello che rimane della sua cultura. Sono passati colonizzatori, dittatori. Ma sono ancora lì, pronti a combattere i Mapuche. Ci accoglie nella sua Ruka, ricostruzione della casa tipica, ci parla di come debba combattere ogni giorno dentro e fuori la comunità. La signora Rosario ha un dono speciale, vede la sua ricchezza, dove gli altri invece la considerano povertà e se ne vergognano. I Mapuche non credono in Dio ma nella natura. Le loro feste sono i solstizi, che si celebrano danzando intorno ad un altare fatto di tronchi d'albero ed una pianta sacra. Hanno una loro medicina ed un loro consiglio. Chiamano fratelli le altre minoranze. Quando la signora Rosario è triste va ad ascoltare il fiume. Non a passeggiare, non a nuotare, lo va ad ascoltare. Ho letto un libro sulla colonizzazione e la storia delle comunità indigene e trovarmele davanti adesso è come assistere alla storia. Risponde alle mie tremila domande con pazienza e trasporto. Le dico che da noi il passato si tiene in gloria come fonte di ricchezza ed orgoglio, non si discrimina. La tenerezza mi stringe il cuore quando mi chiede se a Roma ci sono ancora comunità di nativi. Oddio, non che i romani si siano evoluti molto dall'epoca dell'Impero, però no, le dico che non ci sono più. Colgo la tristezza nel suo sguardo, come a tessere un filo di cordoglio per quello che è stato il nostro passato distrutto. Ci serve una bevanda tipica e ne offre allo spirito, rovesciando un po del contenuto di un bicchiere in terra. Ci parla ancora di tradizioni, costumi e battaglie per difendere il fiume dalla diga, quando il nostro tempo scade e Sarina, la tedesca che venne qui a studiare turismo e si innamorò della storia dei Mapuche, ci viene a riportare indietro. Non so con che coraggio vado a fare rafting il giorno dopo, però lo trovo il coraggio, anche se mi sento una stronza a profanare il Rio Trancura. Classe 4, si sale di livello signori! L'adrenalina che fluisce è solo l'anticamera del giorno dopo, quando mi mettono i ramponi e comincio a pedalare su per il vulcano, 2400 e passa metri di altezza, sulla neve. Una delle fatiche più bestia mai fatte. Zigzagare per 4 ore sulla neve, il freddo, il sole ed il riverbero. Con l'ansia di arrivare al cratere tassativamente prima delle 13. Non tutti i gruppi ce la fanno. Noi si! e mi becco pure lo spettacolo della lava che zampilla, prima di darlo io lo spettacolo, causa folata di vento che mi vede urlare e aggrapparmi mani e piedi alla guida per paura di cadere dentro. In Cile ci sono circa 2000 vulcani, ci dice la guida, siamo su una bomba a tempo. Ma i più pericolosi eruttano verso l'Argentina, se la ride l'altra guida! Il Villarrica è uno dei vulcani più attivi. Guardo il cratere e mi riempio di orgoglio, ma il mio quarto d'ora di gloria si dissipa quando scopro che da questa bomba, ripida che mi faceva paura a salire, si scende con la paletta per il culo. Ce ne andiamo piano piano, io e l'ansia, frenando ad ogni curva in questa specie di canale che ci fa da pista. Quando arriva lei, Franca, l'uruguaiana di 25 anni che non aveva mai visto la neve! Mi insegue in picchiata gridando e ridendo fino a collidermi e spingermi alla pista successiva. La paura di Franca che mi tampina si sostituisce a quella della discesa ripida. Diventa una sfida! Arriveremo a valle per prime, zuppe, ghiacciate e felici. Dopo una birretta celebrativa tutti insieme si parte, io, per Valparaiso. Passo una giornata in questa città in salita, di per se carina, casette colorate arroccate in viette sulla collina. La puzza di piscio e pesce al piano terra, la sporcizia. Decido che una giornata è pure troppa. Io me ne vado!


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