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March 26th 2007
Published: May 10th 2011
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Due ore da ammazzare prima della partenza del bus Algeciras-Cadice. Decido di fare un giro nella zona portuale. Bighellonare per i bassi fondi è sempre un piacere. Ma questa volta si rivelerà una pessima idea.

Un’auto nera mi chiude in un vicolo e dal veicolo vengono fuori due tizi d’aspetto non troppo amichevole. Si riveleranno essere poliziotti in borghese, ma io al momento non potevo saperlo. Mi mostrano i distintivi e mi chiedono di consegnar loro tutta la droga in mio possesso. Gli rispondo che sono pulito e loro tirano fuori la vecchia storiella “se ce la dai tu è OK, se ti perquisiamo e viene fuori sono…. chezzi ameri”. Si certo. Io ripeto che non ho niente, loro procedono a perquisire me e il mio zaino. Non trovano niente. Gli chiedo se perquisire un onesto cittadino che passeggia per le vie del porto è pratica corretta e legale. Mi rispondono che rappresento il prototipo di importatore di hashish: “maschio, trentenne e con pochissimo bagaglio”.

Arrivato a Cadice procedo all’imbarco sul Fortuny, il transatlantico che copre la rotta per le isole Canarie. Tutti imbarcano con auto o camion dalla pancia del vascello, io sembro essere l’unico a fare il viaggio in nave per scelta. Un impiegato della compagnia Trasmediterranea mi offre un passaggio sul suo sgangheratissimo furgoncino bianco per coprire il chilometro di distanza che separa gli uffici dal punto d’imbarco. Transitando davanti al controllo doganale veniamo fermati. “Fanno controlli casuali” mi spiega lo chauffeur, “fanno scendere solo una o due persone, mica tutti”. Mi guardo intorno, sono l'unico passeggero sul bus. “Magari oggi scelgono l'uomo invisibile” gli rispondo. Sorride mentre saluta l'agente che mi invita a scendere dal van. Ha scelto me naturalmente, il solito culo dei fantastici eroi. “Porta addosso qualcosa” esordisce, tra domanda e affermazione. “No, niente” rispondo. “Guardi che tanto il cane trova tutto” mi dice affabilmente come a dire “tanto ti ho riconosciuto, tu sei il famoso importatore di coca colombiana”. “No, non ho niente addosso” confermo la precedente negativa quasi scusandomi. Magari è obbligatorio trasportare un minimo di droga per il viaggio come antistaminico alternativo. Arriva Klaus, Tedesco di razza e di nome, e l'agente lo aizza ripetutamente contro il mio zaino inerme. “È qui, è qui, eccola, dai Klaus trovala” fa decisamente il tifo per il cane. La scena dura solo un minuto e io so che il peggio che possa venir fuori dallo zaino è un calzino troppo puzzolente che priverebbe per sempre Klaus del senso olfattivo, eppure credo che se m'avessero sottoposto alla macchina della verità in quei momenti, avrei confessato non solo possesso e spaccio di droga ma anche i più efferati delitti commessi da Jack lo squartatore 100 anni fa. “OK, può andare” conclude l'agente con l'aria di voler dire “per stavolta t'è andata bene”.

Quaranta ore più tardi attracchiamo nel puerto de la luz, Las Palmas de Gran Canaria. Il mio piano prevedeva la ricerca immediata di un passaggio in nave per il continente americano, una specie di mare-stop per traversare l’Atlantico. E le cose si sono in effetti messe bene da subito. Pochi giorni dopo aver affisso la mia richiesta nella bacheca del porto turistico, ricevo la chiamata di una signora Canadese che mi offre lavoro a bordo della sua imbarcazione. Hanno assunto un motorista Cileno che non parla un’acca di inglese e hanno urgente bisogno di un interprete disposto a viaggiare con essi fino in Messico. Una manna caduta dal cielo. Cercavo un passaggio a buon mercato, ho trovato un lavoro. La nave è un aliscafo di costruzione Ucraina, il Meteor. Vivo a bordo già da due settimane e la data di partenza, non ancora fissata, dovrebbe essere verso fine aprile.

Avendo quindi tempo nelle settimane a venire di parlare con dettaglio della vita a bordo, preferisco qui soffermarmi sugli aspetti più faceti di queste prime settimane in Canarias. Il Carnevale, tanto per incominciare, e il ritorno alla vita notturna coi miei compari Canari. La verità è che rileggendo i precedenti episodi del mio proprio blog ho contato una lista eccessivamente lunga di citazioni di cose che non sopporto, che non tollero, che odio, ecc. Per cui, non volendo dar l’impressione di essere un triste personaggio che invecchiando male non fa altro che lamentarsi di tutto e tutti (cosa per altro vera), dedicherò due righe a tale soggetto di natura puramente edonista.

Anni fa, durante il mio primo inverno in Gran Canaria, scoprì che il Carnevale da queste parti non dura un giorno come nel resto d’Europa. Abbraccia bensì un periodo di circa sei settimane che spazia da fine gennaio a metà marzo. Incomincia a Las Palmas, nel nord dell’isola, e va spostandosi verso sud come fosse un ciclone caraibico. Sosta una settimana in ogni cittadina fino a concludersi, 6 o 7 settimane più tardi ad Arguineguin, nell’estremo sud dell’isola. E così, anziché trattarsi di un giorno di bagordi che ne precede 40 di privazioni, parliamo qui di mezzo inverno di gozzoviglia che precede una quaresimina di due settimane. Pura vida.

Quest’anno sono arrivato giusto in tempo per il fine-settimana conclusivo del Carnevale di Maspalomas, uno dei più pazzi nell’intero arcipelago. Ho comprato un costume cinese da due soldi da lupo cattivo e ho raggiunto i miei amici (e altre migliaia di persone) nelle celebrazioni di piazza. Stranamente, la mia passione per il Carnevale è andata aumentando, anziché scemare, col passare degli anni. Anzi no, non è strano. La ragione è che questo è forse l’unico periodo dell’anno dove l’età non conta. L’uscire in maschera e la generalizzata atmosfera ludica cancellano per un giorno -o per sei settimane, nella fattispecie- differenze generazionali.

Riconosciamolo, far vita notturna quando non si è più giovanissimi può presentare situazioni grottesche. Voglio dire, a vent’anni il sabato notte di un gruppo di amici non presenta altri ostacoli se non magari la penuria di fondi. Dieci anni dopo il panorama cambia radicalmente. In primo luogo bisogna avvisare tutti con varie settimane di anticipo così da dar tempo agli ammogliati del gruppo di creare una credibile scusa da presentare a mogli e fidanzate. Arriva finalmente il gran giorno. Alcuni si presentano dotati di pancetta, altri di calvizie incipienti, altri ancora con un combinato delle due cose. Si sale in macchina e si mette su musica contemporanea: Guns’n Roses. Contemporanea alla nostra adolescenza, voglio dire.

Scelta del locale. Qui a Las Palmas sono due i locali che siamo soliti frequentare: il Paraninfo, ambiente dark, musica rock (spesso dal vivo), avventori giovanissimi e prezzi modici; il 30 y tantos dove già il nome dice tutto del posto, musica anni ‘80/’90, clientela over30 e prezzi per gente vecchia abbastanza da poter pagare un mutuo. Parcheggiamo sulle ultime note di Sweet child of mine e entriamo nel Paraninfo per poter bere un paio di drinks senza esser poi costretti a prostituirci per poter pagare il conto. Tutti ci guardano con sospetto. O magari è solo la mia immaginazione e in realtà nessuno ci nota e punto. Eccetto noi e l’occasionale signora cinquantenne alla ricerca del figlio, tutti, maschi e femmine, indossano pantaloni che anziché reggersi alla cinta, si tengono su solo grazie alla sporgenza delle natiche. Forse Levi’s, nel lodevole tentativo di far sentire i grassi meno grassi e i secchi meno secchi, ha abolito le taglie e ora produce jeans in un’unica misura. Un pezzo di mutande alla vista sembra altresì obbligatorio. Ordiniamo al bar e cerchiamo di fare quello che avremmo fatto anni fa in una situazione analoga: cantare in sincrono e attaccare bottone con qualche ragazza. Solo che non possiamo cantare in sincrono visto che non conosciamo nessuna di queste canzoni. Speriamo invano in una qualche cover di Welcome to the jungle. Quindi usciamo.

Entriamo nel 30 y tantos, la porta accanto. Situazione rovesciata: se nel primo locale eravamo i nonni, qui siamo i nipotini. Voglio dire, il nome del locale vuol dire in effetti 30 e qualcosa, ma il titolo viene preso un po’ alla larga e vi si finiscono per incontrare anche quei/quelle cinquantenni che non vogliono rassegnarsi a balere e Boney M. Un po’ quello che facciamo noi nel Paraninfo. Resi di buon umore dal dio Bacco, cerchiamo di socializzare con esponenti del sesso opposto. In questo locale giochiamo con vantaggio o, quanto meno, questo pensiamo noi. Nel mio caso cerco sempre di tirar fuori la storia del viaggio il che, dopo una beneaugurate partenza, finisce spesso per portare al “non so, uno come te è probabilmente come un marinaio, una ragazza in ogni porto”. Questa è una domanda/affermazione che si apre a tre potenziali risposte, tutte ugualmente nefaste nel risultato. A: “Si, è vero” “PORCO!”. B: “Ma no, tu sei l'unica donna per me” “BUGIARDO!”. C: “Mi piacerebbe, ma siccome tutte mi rispondono così, non ne ho manco una” “PORCO e SFIGATO!”.

La nottata si conclude così, con i diciottenni del Paraninfo che se ne tornano a casa sbronzi con una ragazza o sbronzi con un’erezione e noi che torniamo a casa sbronzi e basta.

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