Tytire tu patulae....


Advertisement
Asia
May 19th 2012
Published: May 19th 2012
Edit Blog Post

Oggi è il giorno di riposo, come da ogni piu’ classico programma di questo trekking. Un riposo che serve per far si che il corpo si abitui all’altitudine e alla scarsita’ di ossigeno nell’aria. Nei prossimi giorni infatti saliremo molto rapidamente sino ai 5.400 mt, e l’altitudine potrebbe giocare brutti scherzi: mal di testa, spossatezza estrema, insonnia, inappetenza, malori anche fatali – gli ospedali piu’ vicini sono a qualche ora di elicottero….



Al di la’ del riposo, questo giorno e’ una specie di rito. Ci si ferma in questa valle incantata, a bearsi della sua bellezza, a ripensare a tutta la strada fatta, a raccogliere le forze per prepararsi alla grande fatica, alla grande impresa che ci aspetta.



La sveglia, comunque, suona molto presto: già alle 5,30. Infatti, se il cielo è terso, l’alba dicono che sia spettacolare in questa valle incantata. Purtroppo, invece, al mattino è nuvolo e piove, per cui io e Rabi dopo poco torniamo a dormire.



Alle 7 facciam colazione e poi camminiamo fino al laghetto Gangapurna.



Questo laghetto si trova di fronte al villaggio, ma più in basso, esattamente sul fondo della vallata. Scendiamo quindi un paio di sentieri e poi iniziamo a salire su un pendio roccioso e friabile per circa 10 minuti. Ad un certo punto mi rendo conto di essere esattamente su una cresta, molto sottile.



Sotto di me, in verticale, il laghetto. Molto piccolo (circa 300 mt di diametro), interamente circondato da altre creste, che sono visibilmente franate. E’ alimentato da un torrente che scende da un ghiacciaio, che si trova a poche centinaia di metri sopra il laghetto: alzando lo sguardo lo si vede, maestoso, confondersi con le nuvole.



Dal lato opposto lato, invece, esce un torrente che poi si getta nell’altro fiume della vallata. Il lago e’ di un blu turchese veramente bello.



Scendiamo in riva (le mie vertigini qualche problema me lo danno…) e immergo nelle gelide acque i miei bollenti (nel senso …di pieni di bolle!) piedi, per un po’ di ristoro.



Dopo qualche foto ci allontaniamo e iniziamo a percorrere a piedi il fondo valle.



E’ bellissimo.



Il sole sbuca tra le nubi e rende più vivi tutti i colori.



Da un lato, piu’ in alto rispetto al fondo valle, il villaggio di Manang con le sue case di pietra, le sue coloratissime bandiere (sembra quasi una giostra medioevale, ogni casa con il suo stendardo da preghiera) e qualche sbuffo di fumo da legna che sale al cielo. Subito sotto, campi di grano himalaiano color rosa. Poi le torbide acque del torrente. Il verde vivo dell’erba da pascolo. E infine, a chiudere la vallata, i dirupi pietrosi ed erosi dal lato sud, di color grigio e marrone.



Camminiamo nei pascoli, ogni tanto dobbiamo attraversare qualche ruscelletto, ogni tanto l’erba è coperta da un centimetro d’acqua. Qualche albero maestoso troneggia in mezzo alla valle, e qualche mandria di capre o vacche pigramente pascola sotto il sole.



A un certo punto si sente in lontananza una melodia….è un flauto, e lassù su una roccia, seduto a guardare il mondo sotto di lui, un giovane pastore con il suo zufolo.



E’ cosi’ che mi sono sempre immaginato il Titiro di Virgilio che “<em style="mso-bidi-font-style: normal;">recubans sub tegmine fagi” suonava il “<em style="mso-bidi-font-style: normal;">calamo agresti”… <em style="mso-bidi-font-style: normal;">ed erra l’armonia per questa valle!



Non sembra reale, ed invece lo è…. Mi trovo catapultato nelle mantovane bucoliche della mia adolescenza sognatrice, qui nel cuore dell’Himalaya.



Rabi lo chiama e quello in quattro salti scende dallo spuntone di roccia in cui era appollaiato ed inizia a parlare con noi…o meglio, con Rabi.



Parla con una voce da bambino ed un tono sereno e spensierato.



La sua storia però – che Rabi poi mi traduce - non lo è affatto. Sua madre lasciò la famiglia per sposarsi con un altro uomo. Il padre tanti anni fa andò in India, a cercare fortuna facendo chissà quale lavoro umile. In breve il nostro amico si ritrovò abbandonato dai genitori fin da piccolo. Senza nessuno, senza educazione, l’unica cosa che può fare è il pastore. Ha 16 anni, guadagna ca 25 € al mese.. D’autunno, per arrotondare, fa il cameriere in una Guest House.



Rabi è chiaramente commosso. Gli parla, gli dice che a Kathmandu lui conosce un’associazione che insegna qualche mestiere agli orfani. Quello dice che no, non occorre, perché nella valle, nella sua vita così povera e semplice, lui è felice.Poi Rabi insiste, e quello con il candore di un bambino gli dice che va bene, un giorno andrà a Kathmandu e si incontrerà con Rabi….



Lui crede che tutto il mondo – e anche Kathmandu – sia come Manang, due case e quattro persone, allora Rabi gli spiega che in realtà il mondo non è tutto così facile, e che occorre scambiarsi per lo meno l’indirizzo.



Quest’incontro mi ha veramente commosso! Non solo per la storia dell’orfano, e non solo per il suo candore. Ma anche per la sensibilità mostrata da Rabi, che un ragazzo nepalese povero che deve provvedere per le due sorelline ed ha il coraggio di offrire aiuto e supporto anche a quest’orfano… Per me questo e’ eroico.



Riattraversiamo il fiume e ritorniamo verso il villaggio. Mentre attraversiamo il greto di un torrente, vediamo una mandria di Yak e un gruppo di circa 10 persone sedute sui ciotoli a poca distanza.



Ci avviciniamo e vedo che stanno squartando, macellando uno Yak. Per terra è distesa la pelle dell’animale e sopra di essa alcuni Gurung – tra i quali il manager del mio albergo – si dividono le carni. Di fianco, in un catino d’acciaio viene raccolto tutto il sangue. La scena e’ assolutamente primordiale, ma la bellezza e la serenita’ della valle stemperano ogni drammaticita’. Sembra, e’, una fase naturale del tutto.



Devo ammettere che uno dei pensieri che mi attraversa la mente e’ che… oggi, finalmente, assaggero’ la carne di Yak!!!



Il pomeriggio va via tra un po’ di riposo, qualche foto nelle vecchie viuzze del villaggio, e la visione di “<em style="mso-bidi-font-style: normal;">7 anni in Tibet” nel più pittoresco cinema dove sono mai stato. Manang, infatti, ha un suo piccolo cinema, ricavato un una vecchia casa contadina, in una stanza scura, con panchine in legno, tipo quelle di una chiesa di campagna, una coperta di pelle di Yak al posto dei cuscini, un proiettore DVD, una tazza di Thè e un sacchetto di pop-corn….tutto per 2,5 € !!



Alla sera, mentre stanco ceno al calduccio della guesthouse masticando la durissima carne di Yak, Rabi tutto eccitato mi dice che alle 21, nel teatro del villaggio, ci sarà uno spettacolo e che dobbiamo assolutamente vederlo.



Camminando alla fioca luce delle torce elettriche tra un vicolo e l’altro – cercando di non inciampare nelle pietre né di mettere il piede in qualche escremento di mulo – arriviamo al teatrino, una casetta di legno e pietra con un’unica grande sala.



Per terra nessun pavimento c’è la terra nuda. Si direbbe una stalla adattata. Nel teatro c’è un sacco di gente, seduta per terra, stipata lungo le pareti, addirittura seduta sulle finestre. Uomini e donne, giovani, vecchi e anche bambini. Tutti molto entusiasti a vedere questa compagnia di danza venuta da un villaggio vicino. C’è un presentatore che introduce con lunghi discorsi gli spettacoli; poi entrano in scena le ballerine, vestite in abiti tradizionali, che si muovono non proprio a tempo ma comunque con ampi gesti delle braccia e delle mani, delicatamente sensuali, che scatenano gli entusiasmi – espressi in sonori fischi – dei ragazzi presenti.



Lo spettacolo dura un’oretta, poi torniamo alla guesthouse. La stanchezza di giorni di cammino si abbatte su di me, crollo addormentato in un attimo, domani si riparte….

Advertisement



Tot: 0.151s; Tpl: 0.009s; cc: 10; qc: 45; dbt: 0.0757s; 1; m:domysql w:travelblog (10.17.0.13); sld: 1; ; mem: 1.1mb