Terzo giorno - serpeggiando lungo il fiume


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Asia » China
March 17th 2012
Published: March 17th 2012
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Usciamo dalla porta di <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Taal. Questi portali di ingresso e di uscita dai villaggi himalaiani trasmettono un bello spirito di cordialità, armonia e sobrietà. Sono semplici portali di pietra sulle cui architravi si innalzano tre piccoli cumuli di di pietre, di solito uno bianco, uno color terra e uno nero, da ciascuno dei quali spunta una bandierina. Sul portale sono anche scolpite in lingua locale frasi di benvenuto.

Usciamo quindi e camminiamo nell’ampia vallata, prima di iniziare a inerpicarci e poi a scendere, lungo scalini coperti di muschio e acque che escono dalla roccia, fino al solito ruggente Marsyangdi.

Lo attraversiamo su uno dei tipici ponti sospesi, poi il sentiero si arrampica molto ripido – quasi in verticale – e arrivato a mezza costa finalmente riprende pianeggiante. A un certo punto incontriamo un gruppo di tre religiosi lamaisti – un lama con il sorriso giocondo di Don Camillo e due donne (Ani) – debitamente vestiti delle tipiche tuniche porpora e gialle.

Si stanno recando a Kathmandu per partecipare a un meeting in un monastero locale. Si fanno fotografare, molto gentili e sorridenti, e sembrano felici quando dico loro che vengo dall’Italia. Rabi suggerisce che – essendo loro “<em style="mso-bidi-font-style: normal;">holy men” – dovremmo offrire loro qualcosa. Quel qualcosa saranno tre barrette di cioccolato, che accettano volentieri. Dopo qualche kilometro la strada pare sbarrata: un’enorme cascata infatti chiude il passaggio. Rabi si conferma una guida molto esperta perché individua subito un sentiero alternativo, anche se molto, molto impervio. Occorre scendere prima nel burrone a valle della cascata, farsi largo tra una gran massa di rocce franate di recente, e poi - attraversato il canalone – risalire quasi verticalmente.

Ci mettiamo un po’, ma alla fine riusciamo senza problemi, sbucando appena di là dalla cascata.

Io e Rabi ci scattiamo delle foto proprio sotto la cascata. Dopo aver attraversato il piccolo – ma carino – villaggio di <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Karte, proseguiamo fino a <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Dharapani dove pranziamo. Io mi sbafo una bella porzione di momo – i ravioli tibetani ripieni di pollo e cotti al vapore –e la solita zuppa di aglio, cremosa e saporita, che ormai sono arrivato ad apprezzare.

La sosta è più breve del solito, giorno dopo giorno mi sento sempre più in forma e con le gambe che rispondono meglio. Esce il sole, e i colori diventano così brillanti! Lo smeraldo delle montagne, il bianco del fiume, il rosso, giallo, blu delle bandiere di preghiera buddiste che sono appese a ogni casa. Per strada si susseguono piccoli campi di granoturco e piante selvatiche di marijuana. Tra una salita, una frana, un torrente e l’altro arriviamo nel villaggio di <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Danakyn.

Qui posso riempire la mia borraccia a una stazione di acqua depurata. Siccome i torrenti himalayani contengono alcuni minerali che causano diarrea ai non indigeni (incluso Rabi, nepalese della pianura e non di queste valli), per limitare l’uso di acqua in bottiglie di plastica - i vuoti inquinano l’ambiente – è stato lanciato un programma governativo, in cooperazione con la Nuova Zelanda, per installare in alcuni villaggi piccoli depuratori ad ozono. Per soli 0,4 euro si può riempire una bottiglia da 1 litro. Il comitato delle donne di ogni villaggio amministra queste stazioni, gli incassi servono prima per ripagare l’investimento poi verranno a beneficio delle donne.

In questo piccolo villaggio c’è un piccolo santuario, una piccola stanzetta dentro la quale troneggia una grande ruota di preghiera tibetana. Rabi – che sarebbe induista, ma si professa agnostico convinto – comunque entra e la fa girare tre volte. Il sincretismo religioso e il senso del sacro dei nepalesi non ha limiti!

Sulla strada di uscita dal villaggio poi vi è un altro edificio lungo e stretto, con ruote di preghiera da un lato e dall’altro: saranno circa una trentina.

Usciamo dalla consueta porta del villaggio e iniziamo quella che Rabi mi ha annunciato come l’ultima salita del giorno, ma anche la più grande. In effetti per 45 minuti rampiamo di continuo in salite ripidissime e stanca-gambe..

Più volte mi fermo per riprendere fiato, e sento le gambe di piombo. Molto meglio, comunque, dell’incubo del primo giorno, a conferma che sto sempre più prendendo forma. Durante l’ascesa mi fermo stupito quando raggiungiamo tre piccoli nepalesi – sembrano di mezz’età – che trasportano a schiena fogli di lamiera arrotolati da usare come tetto per alcune case. Ognuno di loro avrà portato 60/70 Kg di lamiere! Rabi mi spiega che devono andare fino a <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Manang - almeno 5/6 giorni di viaggio su sentieri impervi e sterrati – per un compenso di circa 5 euro al giorno… Non ho parole neanche adesso se ci penso. Piu avanti ne troviamo altri che a spalle portano pietre….

Finalmente dopo una salita massacrante che però – tutto sommato – ho retto bene, arriviamo al piccolo villaggio di <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Timang - 2.700 mt., dove ci fermiamo per la notte. Il piccolo villaggio è in espansione – 5/6 nuove case di pietra e legno sono in costruzione – ed è situato in una radura in mezzo ai boschi. Le nuvole sono molto basse e avvolgono il villaggio così come tutte le montagne circostanti. Scende una finissima pioggerellina.

Felicità!

Nel villaggio si respira l’odore della legna secca bruciata nelle case. Intorno a me “<em style="mso-bidi-font-style: normal;">Alti sono i monti e molti gli alberi”: le parole della <em style="mso-bidi-font-style: normal;">Chanson de Roland sono un degno congedo a questa giornata.

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