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Published: October 26th 2007
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Alla fine sono rimasto a Kashgar per tre mercati della domenica, il tempo di sentirmi ormai di casa e conoscere per bene tutti i prezzi dei vari animali: dai 200 ai 300 euro per una cavallo, 500 per un cammello adulto, 200 per uno giovane e 24 euro per 5 pecore, se ho ben capito; non avendo spazio nello zaino ho rinunciato a quest'ultimo strepitoso affare e mi sono limitato a gustare la loro prelibata carne cotta allo spiedo per 6 centesimi al pezzo.
Anche la cucina locale non ha piu' segreti, avendo la possibilita' di scegliere tra torte di carne, laghman, gli spaghetti locali filati a mano e lunghi qualche decina di metri, e poi teste d'agnello bollite, zampe cotte al vapore, litri di the' e il buon vino rosso locale. La vita notturna si divide tra discoteche uighure, in cui si pratica la tipica lenta danza locale a braccia aperte e gambe incrociate, e le discoteche cinesi, nelle quali predomina un'assordante musica tecno-orientale.
Mi decido finalmente a partire in un caldo lunedi' d'ottobre, in treno, destinazione Turfan.
La provincia occidentale dello Xinjiang e' occupata in gran parte dall'orrendo deserto del Taklimkan, il cui nome significa qualcosa del tipo "ci
entri vivo e ne esci morto", per cui decido di evitarlo, costeggiandone i suoi confini settentrionali; dopo 30 ore di viaggio, e piu' di mille chilometri percorsi, raggiungo la storica oasi di Turfan, altra tappa fondamentale lungo la via della seta, importante centro di produzione vinicola situato in una depressione a circa 50 metri sotto il livello del mare.
Gran parte della popolazione sembra impegnata nella preparazione dell'uva passita, essendo la vendemmia da poco conclusa ed i processi di vinificazione localizzati nella vicina, e dal nome invitante, valle dell'uva.
Questa volta non mi lascio sconfiggere dal clima depresso e, affittata una bici, pedalo allegramente fuori dai confini della citta', sfidando il poco traffico tra ristoranti all'aperto dal dubbio igiene ma dal costo assolutamente irrisorio, vecchie moschee trasformate in cooperative agricole, campi di vite ormai a riposo e grosse costruzioni adibite all'essicazione dell'uva. Raggiungo infine le rovine dell'antica citta' di Jiaohe, vecchie di 1600 anni, arroccate in cima ad un lungo e stretto spiazzo roccioso circondato dai canyon di due fiumi che hanno reso cosi' superflua la costruzione di una cinta di mura difensive; tra vecchie abitazioni semidistrutte e lunghi viali scavati tra la roccia, spicca per la sua mole il
grande stupa situato nella parte religiosa della citta', e, nel grande monastero, le nicchie che conservano i resti di piccole statue del buddha, testimoni dell'espansione del buddismo verso il cuore del paese.
Tappa successiva nel costeggiamento del deserto e' Dunhuang, famosa in tutto il mondo per le vicine grotte di Mogao, custodi di uno tra i piu' grandi e meglio conservati esempi di arte buddista nel mondo.
Dato l'esorbitante prezzo per l'ingresso al sito, ripieghiamo per le meno conosciute grotte occidentali dei mille buddha, di dimensioni e qualita' inferiore ma comunque di grande atmosfera e non irrilevante importanza: nelle sei grotte aperte ai visitatori si possono ammirare lungo tutte le pareti gli affreschi di migliaia di buddha seduti a gambe incrociate e grandi statue e dipinti dell'illuminato contorniato da quelli che sembrano essere angeli o demoni volanti ed impetuose lingue di fuoco.
Appena fuori dalla citta' il deserto del Taklimakan si esprime in tutta la sua magnificenza con imponenti dune di sabbia alte fino a 600 metri.
Per l'ingresso all'area predisposta al turismo organizzato (qui in Cina tutti i siti turistici si pagano, e a caro prezzo!) si dovrebbe pagare un bilietto d'ingresso, ma a poche centinaia di metri di
distanza risulta facile accedere liberamente (scavalcando una recinzione e del filo spinato) alle dune e cimentarsi in una ardimentosa e sfiancante arrampicata su per il dorso di una di quelle piu' alte, fino raggiungerne la cima, da cui si gode di un vero e proprio panorama da cartolina: montagne di sabbia e deserto a perdita d'occhio da una parte, oasi rigogliosa dall'atra.
Questo momento magico viene pero' interrotto dal megafono di un guardiano dell'area che, non si spiega come, ci ha visto seduti sulla sommita' di questa duna "proibita" e ci richiama all'ordine, o meglio, ci indirizza alla biglietteria d'ingresso.
Riluttanti all'idea di dover pagare un prezzo per l'accesso al pubblico deserto del Taklimakan, ritorniamo in citta' vagando con la mente e programmando altre incursioni clandestine nelle dispendiose aree turisticizzate che ci attenderanno nel proseguimento del nostro viaggio all'interno della Cina
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aldamar
non-member comment
è un orrore!!
che schifo!!!!!