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Published: February 6th 2022
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Capita spesso nelle grandi città saudite di guardarsi attorno e domandarsi "ma in che paese mi trovo?", poichè a volte di arabi se ne vedono in giro davvero pochi; la zona di Al Batha, a Riyadh, è stata giustamente definita una "Little Bangladesh" poichè la maggior parte delle attività commerciali è in mano ad operosi immigrati bengalesi; in centro a Yanbu si notano solamente gli svolazzanti salwar kameez degli infaticabili operai pakistani, mentre gli autisti di autobus della SAPTCO sono quasi immancabilmente filippini, e così via dicendo, tra una grande quantità di indiani, yemeniti, indonesiani, sudanesi, egiziani, somali ed anche qualche privilegiato lavoratore occidentale. Sarebbe facile ironizzare sul fatto che quando si entra in argomento di lavoro non c'è quasi mai l'ombra di un saudita, ma non vorrei scadere in un facile e scontato luogo comune; i numeri però riescono a raccontarlo meglio di tante parole: gli immigrati in Arabia Saudita rappresentano circa il 40% della popolazione totale (stime) ed assorbono circa i due terzi dei posti di lavoro disponibili.
Tutto ciò si traduce in un immenso beneficio per l'annoiato viaggiatore alla ricerca di qualcosa di diverso dal solito piatto di (delizioso) riso e pollo o pane e agnello tipici
della cucina saudita; non che manchino le grandi catene multinazionali di fast food americano a diversificare l'offerta, ma il vero toccasana è rappresentato dall'abbondanza di ristoranti pakistani, bengalesi, indonesiani, indiani e filippini che offrono così una grande varietà potenziale al nostro menù quotidiano. La cucina sudanese, yemenita ed egiziana è da considerarsi troppo affine a quella saudita per poter offrire un vero cambiamento, anche se in questo caso gli umili legumi ed il poco considerato fegato prendono ampio sopravvento sulla più aristocratica e dispendiosa carne. Filippini ed indonesiani apportano la giusta dose di pasta che mancava ormai da troppo tempo nella mia dieta, sottoforma di noodles fritti o in zuppa; a Jeddah, dove un cospicuo numero di questi ristoranti si concentra nella zona attorno alla Corniche Mall, negli esercizi più temerari si arriva anche ad osare un accenno di karaoke come accompagnamento alla cena, e non oso immaginare cosa possa accadere nelle ore più tarde della serata. Lo stesso discorso vale per Riyadh, con i ristoranti situati nella zona Nord di Al Batha, anche se sfortunatamente non ho potuto riscontrare la stessa sfrontatezza di costumi.
Al Batha che come già detto è il regno indiscusso del commercio al dettaglio
gestito dagli immigrati del Bangladesh, dove non mancano quindi gli insipidi e semplici piatti della cucina tradizionale bengalese, sempre però estremamente economici (si può pranzare con 2 o 3 euro!) ed accompagnati da un rinfrancante chay masala. A Yanbu predominano i pakistani mentre a Dammam si fanno largo anche gli indiani, ma in entrambi i casi ciò si traduce in una cucina sì estremamente variegata ma anche immancabilmente troppo speziata ed ultra piccante per le mie delicate papille gustative: non male per qualche giorno, ma preferisco riservarmi quest'esperienza mistica per il prossimo viaggio nel subcontinente! Non di solo ristoranti etnici ha goduto il Mercante tra la folta comunità di immigrati, ma anche di quei veri artisti del rasoio che sanno essere i barbieri bengalesi ed indiani. Najran mi è forse risultata la città più omogeneamente saudita tra tutte quelle da me visitate (oltre a Tabuk), e posso sinceramente ammettere che l'ospitalità da parte dei suoi abitanti è stata davvero toccante: svariati te e caffè offerti, colazioni pagate, passaggi in auto senza richieste di denaro, ma anche decine di messaggi Whatsapp che continuano numerosi ad arrivare, anche adesso che sono ormai rientrato in Italia da giorni, da simpatica gente a cui
avevo spensieratamente lasciato il mio numero di telefono.
La Visione 2030 del principe ereditario MBS vorrebbe affrancare il paese dalla sua pressochè totale dipendenza dalle esportazioni petrolifere, ma per far ciò sarà necessaria una maggiore partecipazione nel mondo del lavoro da parte di tutta la popolazione locale, fatto alquanto inconcepibile fino a quando i soldi del petrolio continueranno tranquillamente a finire nelle profonde tasche di questi fortunati sauditi; nel frattempo l'economia del paese varrà ancora lubrificata dal sudore dei suoi milioni di immigrati, sperando che col passare del tempo le loro condizioni lavorative subiscano qualche miglioramento e non si senta più parlare di lavoratori stranieri giustiziati senza troppi riguardi nella tristemente famosa piazza "chop chop" nel centro di Riyadh.....
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