Viva l'aparteid


Advertisement
South Africa's flag
Africa » South Africa
June 20th 2010
Published: June 20th 2010
Edit Blog Post

Viva l’aparteid


Introduzione

Conosco questo mio pazzo amico avvocato da anni. Credo che non sia un cattivo avvocato, ma penso che avrebbe fatto meglio a fare il giornalista, il reporter dall’estero, conoscendo il suo spirito di avventura, il suo grande desiderio di viaggiare. Spesso mi racconta che preferisce avere incarichi professionali all’estero, magari anche non ben remunerati, pur di soddisfare il suo desiderio di continuare a viaggiare. Mi ha sempre raccontato delle sue avventure, di viaggi esotici e qualche mese fa mi ha detto che, finalmente, era riuscito a scrivere qualcosa su i viaggi fatti in gioventù. Gli ho chiesto subito di farmi leggere quello che aveva scritto e appena ho aperto il manoscritto mi ha sorpreso immediatamente il titolo: “Viva l’aparteid”: ho pensato subito che trattasse qualcosa di pesante visto il titolo. E invece è un vero e proprio libro di viaggi, avventure, di amore ed il drama dell’aparteid è trattato con leggerezza, è il romanzo di avventura di cui tutti noi sentiamo tanta nostalgia. Ho incominciato a leggere il libro e sono andata avanti velocemente: parla proprio della sua vita, con candore, con semplicità e con entusiasmo. L’avventura, la scoperta del nuovo, il piacere di viaggiare, l’incontro con la gente, le loro miserie, le ingiustizie sociali dei popoli più sfortunati, soprattutto quelli dell’Africa, Africa del sud dove l’autore è vissuto proprio nel momento in cui le tensioni sociali, causate dall’aparteid, erano più forti. Tutto questo ha fortemente segnato la sua sensibilità e il suo spirito di solidarietà sociale, tipica delle persone del sud, che hanno una solidarietà istintiva nei confronti di tutti popoli che soffrono, e soprattutto accettano tutti, e, le loro diversità, essendo essi stessi figli di tutte le razze del mondo che hanno occupato la loro terra.

Barbara Mądro



Capitolo I

La prua della nave solcava decisa le acque limacciose dell'oceano Atlantico. La rotta era verso le isole Canarie. Appena usciti dal Mediterraneo il colore del mare era cambiato decisamente: acque plumbee, tristi, di colore indefinito.
Avevo già nostalgia del bel colore del mare nostro, del Mediterraneo, e pensavo alla partenza della nave dal porto di Genova col gran pavese issato. Una cascata di coriandoli dal ponte passeggiata teneva legati i passeggeri che salutavano gli amici e parenti che li avevano accompagnati alla nave; l’orchestra delle isole Barbados suonava il calipso in costume tradizionale, e la mia gioia, quella di sempre, ritornava briosa: ero felice di lavorare su quella nave, dove gli altri venivano per divertirsi, godevo della loro gioia e del loro entusiasmo. Quella era la vita che preferivo, anche se il mio sogno era quello di essere marinaio semplice su una nave da carico.
Prima tappa Cannes. Prestigiosa Cannes. La città famosa per gli incontri del cinema.
La nave nostra, piccola, bella, ben fatta, “femmina” come dicevo io, una bella femmina, aveva buttato l’ancora al largo di Cannes, perchè a Cannes non si poteva attraccare, e le scialuppe della nave venivano utilizzate per portare i passeggeri a terra. Io avevo tanto desiderio di vedere la Crouasette della prestiggiosa Cannes. Era la prima volta che avevo la possibilità di visitare Cannes e passeggiare sul lungomare. Avevo un forte disederio di scendere a terra, ma tutte le scialuppe erano già andate ed io ero rimasto sulla nave, e non sapevo come fare per arrivare a terra. Però la fortuna, il fato, anche in questa occasione fu benevolo con me: si avvicinò alla nave una barca, a bordo della quale vi era una intera famiglia francese, una bella barca, su cui vi era anche una bella ragazza. E io con la divisa da ufficiale ero sulla scalletta vicino a grande portellone da cui erano partiti i passeggeri sulle scialuppe, e in modo spontaneo feci segno alla barca col dito, chiedendo un passaggio, come di solito si fa l’autostop, e loro, immediatamente si avvicinarono alla nave e mi fecero salire a bordo. Facemmo subito amicizia, mi offrirono da bere e mi accompagnarono a terra, e così finalmente arrivai pure io sulla tanto famosa Crouasette, dove apprezzai non solo la bellezza del posto ma anche le belle donne che prendevano il sole in topless sulla spiaggia.
Ho apprezzato molto il modo in cui venivano curati i giardini e la pulizia di quella passeggiata lungo il mare, i bei negozi, il mondo chic di Cannes. Ed è stato per me uno meraviglioso tuch dell'Europa, bella ed elegante.
Ho gustato delle ottime pommes frites con viande e vin rouge in un tipico bistro.
Siamo ritornato a bordo, siamo ripartiti per Barcelona.
Avrei ricordato con nostalgia la mia sosta a Cannes, perchè dopo Barcelona e le isole Canarie vi erano circa 15 giorni di navigazione senza toccare terra.
Durante questa navigazione monotona quando il cielo non era nuvoloso e si vedevano le stelle, spesso ero steso a bere una birra a prua della nave, e in quel momento magico pensavo davvero di essere felice: ero io, il mare e le stelle. Pensavo agli amici, alla mia terra, pensavo all'ultimo episodio che mi aveva affascinato, emozionato, l'occupazione del liceo. Erano gli anni della grande rivoluzione culturale, e anche noi nel profondo sud, alunni del severo liceo della mia città, avevamo osato occupare l’impenetrabile, l'inviolabile liceo, che era gestito da una preside terribile.
Quel movimento così affascinante, così nuovo, così ricco di idee, aveva appena sfiorato la nostra città, il nostro sud. Solo con questo piccolo episodio, l’occupazione del liceo, avevamo dato il nostro contributo a quella grande contestazione che stava rivoluzionando la società. Appena iscritto alla facoltà di giurisprudenza, dopo il diploma, mi è venuto un irresistibile desiderio di viaggiare, l’Ulisse che era in me mi ha spinto a lasciare tutto e tutti e a prendere la via del mare.
Sognavo di imbarcarmi su una nave petroliera o una nave da carico e fare qualsiasi lavoro, ma avere la possibilità di visitare i posti esotici, dove, da sempre, sognavo di andare. Ma la sorte volle che mi imbarcassi su una nave da crociera quale ufficiale commissario. E così quel mio desiderio di libertà era costretto a convivere con il mio ruolo di ufficiale, che mi imponeva di essere formale, sempre in divisa, di essere sempre rasato e ordinato, di essere praticamente impeccabile. Questo era il piccolo imbarazzo che provavo.
La nave da crociera è un mondo di sogni, e anche gli addetti ai lavori devono adeguarsi a quel sogno che passeggeri paganti vogliono vivere per 7 o 15 giorni.
Allora ogni tanto, prima di andare a fare la doccia, e indossare la divisa di gala prima di andare a cena, sognavo di essere un marinaio semplice su una nave da carico, e andavo a prua della nave a bere una birra, senza curarmi che mi sporcavo, e sognavo di quei posti straordinari, descritti dagli autori dei libri, letti in gioventù, che tanto mi avevano affascinato, sognavo le avventure degli eroi e dei grandi esploratori, che io speravo di rivivere, ora che avevo, davvero, la possibilità di visitare posti esotici. E invece la nave su cui ero imbarcato mi imponeva dei ritmi di lavoro frenetici che mi tenevano impegnato tutta la giornata, in maniera che io non avevo alcuna libertà, ero sempre costretto dagli eventi a fare quello che era nel programma, e soprattutto dovevo essere sempre sorridente, sempre allegro, sempre pronto a divertire gli altri perchè era una nave da crociera, e io ero uno dello staff, addetto a tanto. E a volte questo mi pesava moltissimo; altre volte cercavo di prendermela allegramente, capivo però che i miei sogni di avventura su quella nave venivano ridimensionati, però facevo del mio meglio, per cercare di non far venire meno quello che era stato lo scopo di questa mia avventura in mare.
E così cercavo, appena arrivato in un porto, di non tradire questo mio sogno di avventura, di vivere non da turista l’approccio con il paese che visitavo e con la gente che incontravo.
Ogni tanto guardavo la scia dell'elica dal ponte cavi; non ho mai capito come riuscisse quasi ad ipnotizzarmi quella scia di mare che sembrava diventare marmo.
Così sembrava a me quella scia dell'elica, il cui colore e forma cambiava sempre, e mi ipnotizzava, mi faceva pensare a quando, poco tempo prima, avevo lasciato la mia terra, il mio sud; pensavo ai miei amici che non credevano che avessi avuto il coraggio di lasciare tutto e andare per mare; dicevano: “E adesso te ne vai per mare, non giocherai più con noi la partita di calcio del sabato, non farai più le lunghe passeggiate per il lungomare nella speranza di incontrare la donna amata, nè più la partita a tressette”.
Il loro ideale, invece, era quello di avere un posto fisso, magari al comune della nostra cittа, per non fare neanche lo sforzo, la mattina, di fare qualche kilometro per andare a lavoro; pensavano al pane sicuro. Io sembravo un alieno, il mio desiderio di avventure, il mio desiderio di vedere il mondo, di conoscere altra gente, sembrava di essere di altri tempi; eppure stavamo appena vivendo una grande rivoluzione, quella del 68-69, dove sembrava che il mondo cambiasse a ritmo frenetico: tutti vecchi schemi venivano demoliti da questi giovani così pieni di vita, così intraprendenti, con la voglia di cambiare tutto.
Io pensavo all'entusiasmo dei giovani che avevano dissacrato tutti i vecchi miti ed ero contento per me, che ero su quella bella nave, in giro per il mondo e avevo quindi la possibilità di cogliere la portata di quei fermenti di novità, dovunque.
Quella scia di marmo dell’elica della nave lasciava dietro di se le esotiche isole Comore, eravamo diretti verso la misteriosa India.
Solo l'oceano indiano con i suoi colori e il suo fascino fa diventare la scia dell’elica marmo preziozo .
Comunque, quella notte la scia del mare mi faceva pensare a tante cose, mi faceva pensare ai miei miti, mi faceva pensare a tutto quello che avevo sognato, e appena sveglio, tutto si dissolveva in quell'ambiente scintillante in cui ero andato a lavorare, una nave da crociera, che portava gente ricca, gente abituata ad essere riverita, servita e a trattare tutti gli altri come schiavi.
E anch'io, anche se ero ufficiale, mi sentivo un poco servile, avrei preferito una bella nave da carico.
E così mi accontentavo di quell'ora che dedicavo a me stesso, ai miei sogni, senza formalità, e cercavo di scambiare qualche parola con qualche marinaio che come me forse pensava alla famiglia, alla sua terra e alle cose più vere.
Molte volte era bello incontrarsi con i marinai, che erano dalle parti mie, uomini che sembravano rudi, senza sentimenti, invece avevano tanta sensibilità, tanto amore per la famiglia. Ricordo un marinaio con le mani dure, alto 2 metri, forte, il quale mi chiedeva con grande delicatezza se potevo leggergli la lettera che la figlia gli aveva scritto, e poi mi chiedeva di rispondere. Lui mi diceva le cose che dovevo scrivere e che mi facevano quasi commuovere, cose tanto tenere, che sembrava assurdo, che un uomo così forte e rude potesse pensare. Parlava di un figlio che non aveva mai visto, che era nato durante uno dei nostri viaggi, che duravano a volte un anno, e che lui non aveva potuto godere di quei primi momenti di tenerezza che una creatura appena nata riesce a dare a un genitore.
Questi marinai erano sempre pronti ad essere solidali, gentili con me. Ero l'ufficiale della loro zona, forse l'unico che poteva aiutarli. Quando arrivavamo nei porti loro pescavano mentre la nave era in rada, e dopo la pesca ero praticamente obbligato ad andare a mangiare il pesce, cucinato alla maniera nostrana, giù nella loro mensa equipaggio. Ricordo che c’erano dei tavoli unti, con tante pietanze, e, dal loro caloroso invito a mangiare e a bere, si capiva il loro entusiasmo per la mia presenza, e dalla loro semplicità traspariva tanta umanità: si beveva birra a fiumi, e dopo poco erano quasi tutti ubriachi e incomminciavano a litigare; però era quella la vera vita da marinaio. Non era certo da marinaio vero la mia vita e quella di tutti gli altri ufficiali, che la sera, come autentici pinguini, con i pantaloni da smoking, la giacca bianca con papillon, eravamo costretti a fare i damerini per le signore che volevano divertirsi. Loro erano i veri marinai, erano quelli che facevano camminare la nave, facevano i lavori più importanti. E quando avevo questo contatto con loro, finalmente, non mi sembrava più una vita falsa, inutile.
La vita del marinaio è una vita dura in cui conta solo il mare, che a volte è rude, cattivo, e mette a dura prova tutti, sia marinai, che ufficiali e passeggeri, rendendoci tutti più solidali e più autentici.




Advertisement



Tot: 0.047s; Tpl: 0.01s; cc: 5; qc: 44; dbt: 0.0235s; 1; m:domysql w:travelblog (10.17.0.13); sld: 1; ; mem: 1.1mb