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Published: February 25th 2016
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Una inspiegabile voglia di Ligabue mi accompagna durante il viaggio verso San Carlos de Bariloche. E anche il solito ragazzino che prende a calci il sedile. Il giubilo della sua discesa è paragonabile solo alla disperazione del veder salire lei, la donna con il bambino di un anno. Guardo il sedile vuoto di fianco al mio, lei guarda il sedile vuoto di fianco al mio. Si siede. Questa donna non mi guarda e non mi dice una parola in 20 ore di viaggio. Salvo allattare ogni 5 minuti per calmare il bambino. In pratica conosco meglio le sue tette che la sua faccia. Nel frattempo, ovviamente, il bambino mi tira di tutto. Bariloche non mi impressiona. Il lago Huapi si. Passo una tranquilla mezza giornata sulle sue rive, prima di rientrare nel mio tranquillo ostello, dove nel frattempo si materializza lei. Milagros, questa signora argentina che più che un miracolo è una bomba che esplode in camera. Arriva facendosi portare le valigie non da uno, ma da tre ragazzi dell'amministrazione. Tempo 10 minuti e già abbiamo organizzata una pizza per la serata, Elena, ragazza spagnola in camera con noi, è arruolata per un tour il giorno dopo, ed io, che ho
già un programma con tanto di biglietto comprato, sono comunque attesa per la cena. Che rimarrà uno dei ricordi più metafisici e surreali del viaggio. Passo la giornata a logorarmi i piedi al parco del Arrayanes, alberi di mirto secolari che crescono solo in questo parco a Villa La Angostura. Torno in ostello arrancado sul mignolo e la sensazione di casa aprendo la porta e trovando questa signora che conosco da mezza giornata che mi sorride contenta, mi sa di surreale. La cena come fossimo famiglia, mi sembra di conoscere queste persone da anni e a malapena ne conosco il nome. Si finisce a parlare di vita e di storie. Milagros ci chiama le sue brujite, le sue streghette, ma la vera magia si espande dalla sua positività e la sua storia di vita. Dalla felicità che si nasconde dietro ogni parola e ogni sguardo. Finisco estasiata ad ascoltarte i suoi racconti. In Sud America, l'essenza del viaggio, non sono solo laghi e paesaggi, ma anche incontri e parole. Non credo nel destino, però si, evidentemente dovevo passare di qua. Me ne vado a Chiloè con un po di rimpianto, avrei voluto fermarmi un giorno in più in quel contesto
ma va bene così, ci saranno altri incontri e momenti da ricordare. Chiloè è un'isola magica, me ne accorgo non appena attraversiamo lo stretto. L 'atmosfera è particolare, tranquilla, serena. La gente vive di turismo, pesca e agricoltura, mi dice il vecchietto seduto vicino a me. Arrivo ad Ancud in un ostello a conduzione familiare con vista mare. La città è piccola e di legno, nel senso non di poco flessibile, ma proprio di legno. Me la giro in meno di mezza giornata. Il giorno dopo mi dirigo al parco. All'entrata mi danno una mappa e mi indicano i sentieri. Tutti invasi da questi sciami di mosconi carnivori e tenaci che rendono il cammino tra il fitto e caratteristico bosco un vero inferno. Arrivo alla spiaggia sull'oceano, una immensa distesa di sabbia immersa in una nebbiolina mistica. E sciami di mosconi carnivori. Uso la giacca a mo' di coda di cavallo. Ma non ne posso più, dopo 4 ore di battaglia, hanno vinto! Me ne vado a Castro ad ammirare la chiesa di legno, sempre il materiale, e le caratteristiche palafitte. Al rientro in ostello Roberto, il proprietario mi ha lasciato da parte un piatto di curanto cucinato dalla mamma,
chilota 100% mi dice. Il curanto è il piatto tipico di Chiloè, è un mix di cozze giganti, carne e patate. Serata piacevole con tutti gli altri ospiti prima di ripreparare le valigie. Il giorno dopo tento un'incursione a Dalqhue, ma senza successo. Trovo un bus diretto per Puerto Varas e mi ci infilo. Tappe brevi queste ultime, ma significative.......
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