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“Sulla strada il tempo non ha valore”: il perfetto epitaffio del vero viaggiatore! Io a ‘sta storia del valore del tempo in effetti non ho mai creduto, neanche nei periodi stanziali della mia vita, voglio dire. Secondo me, un giorno, tanto, tanto tempo fa, qualcuno decise che “il mattino ha l’oro in bocca”, che “chi dorme non piglia pesci”, che “mai lasciare a domani ciò che potresti fare oggi” e tutta una lunghissima serie di mal celati inviti a farsi un culo così nella vita. I responsabili delle compagnie di trasporto internazionale devono evidentemente aver aderito senza riserve a questa corrente di pensiero e così anche l’espresso Lisbona-Siviglia parte alle 7 del mattino. Di domenica. E per render breve una storia lunga (perché non dimentichiamo che “il tempo è denaro”), dirò solo che quel bus l’ho perso nonostante la stazione si trovasse a solo un isolato di distanza dall’ostello dove mi alloggiavo. Aggiungo che quello era l’unico in programma nell’intera giornata con destinazione Spagna.
E così, domenica mattina presto, con la città di Lisbona ancora semi-inconsciente dopo la sbornia del sabato notte, io mi trovo a dover decidere fra: a) rientrare in ostello, rimettermi sotto le coperte e restarci fino
al momento in cui la donna delle pulizie mi cacci a colpi di scopa; b) salire sul primo bus locale con destinazione sud, uscire dalla città e proseguire il viaggio in autostop. L’idea A è allettante, la settimana spesa a Lisbona è stata brillante e la compagnia eccellente ma, appunto, rientrassi a “casa” finirei col non ripartire più. E i miei fondi non sono illimitati, né l’Europa è a buon mercato. E poi la giornata promette sole e tepore. Autostop sia.
Chiedo all’ufficio informazioni e mi dicono che i bus per Setubal, 45 Km a sud di Lisbona, partono ogni mezz’ora tutti i giorni, inclusa la domenica. Compro il biglietto e lascio una città assolutamente affascinante. Il quartiere della Baixa di notte, con la pioggerellina che lucida il selciato mentre le note del “fado” provenienti dalla miriade di locali provvedono una colonna sonora di prim’ordine, dovrebbe essere incluso in quella famosa lista di 10 luoghi da conoscere prima di morire. È come essere a Trastevere ma senza la miriade di turisti che di questa rendono l’atmosfera poco credibile. Per dovere di chiarezza geografica va detto che ero arrivato a Lisbona in treno partendo da San Sebastian e facendo una
fermata intermedia di qualche giorno a Coimbra, nel Portogallo centrale.
L’autobus delle 8 per Setubal è quasi del tutto vuoto e il viaggio dura meno di un’ora. Suppongo che il conducente, passando buona parte della sua vita su queste strade, deve conoscere meglio di chiunque altro quale sia il miglior punto per fare l’autostop a Setubal. In effetti la mia supposizione si rivelerà del tutto errata e l’incrocio indicatomi si rivelerà tanto poco transitato da farmi pensare ad una qualche
candid-camera organizzata dal conducente stesso. Finalmente, dopo oltre un’ora di attesa, un uomo sulla sessantina al volante di un furgone si ferma e mi dice d’esser diretto a Santiago. Do un’occhiata alla mappa, Santiago non è esattamente in direzione Siviglia ma è comunque oltre 100 Km di distanza, direzione sud. Affare fatto.
Le persone che offrono passaggi possono normalmente esser catalogate in tre gruppi: quelli che ti conoscono; quelli che pensano positivo; quelli che si annoiano e hanno bisogno di qualcuno con cui parlare. Pedro, l’uomo del furgone, appartiene a questa terza categoria. Il camioncino bianco sfrecciava sulla IC1 lasciandosi dietro il mare ed incontrando il campo e i boschi di eucalipto, e Pedro approfittava per raccontarmi la
sua vita. In teoria parlava un po’ d’Italiano, alla prova dei fatti ne conosceva solo le parolacce. Ma qualcosa è pur qualcosa, no? Durante il mio soggiorno in Portogallo ho scoperto che, pur essendo assolutamente fattibile una conversazione ispano-portoghese dove ognuna delle due parti parli la propria lingua, tante (troppe) persone la prendono come un’offesa, fingono non capire e preferiscono utilizzare l’inglese pur magari possedendo un livello davvero basico in tale idioma. Il fenomeno, che potremmo definire come “sindrome del nano” e che già ebbi modo di citare nella scorsa puntata a proposito della Catalogna, si manifesta prevalentemente in soggetti giovani. Triste.
Arrivato a Santiago do Cacem e accomiatatomi da Pedro, controllo nuovamente la mappa e decido che una qualche spiaggia desolata del sud sarà la mia prossima destinazione. Questa volta scelgo io il punto dove sfoderare il pollice, ma ancora una volta finisco in un incrocio tanto poco trafficato da far pensare a qualche recente raid aereo al napalm sulla campagna del Portogallo meridionale. In un periodo apparentemente infinito transitano nell’ordine: un anziano su un carretto a trazione equina che mi guarda con la stessa espressione esterrefatta con la quale si osserverebbe ET scendere sulla terra; un grosso
cane marrone che mi studia durante pochi secondi poi, scartata l’idea di pranzare con una delle mie chiappe, alza la zampa destra, piscia sul palo delle indicazioni stradali e va via; tre giovanissimi dall’aspetto sfatto; un corteo nuziale. Mi rassegno a un’altra tratta in autobus. La stazione di Santiago sembra presa direttamente da un film di Almodovar e riporta la mente a un’epoca che mai potrò conoscere di persona. Sono fortunato, l’autobus diretto al sud non è ancora partito.
Sono le 7 di sera quando lasciamo Santiago, quasi le 9 quando il bus mi scarica nel paese di Zambujeira do Mar. Una notte accompagnato solo dal ronfare strepitoso dell’oceano in inverno è quello che davvero voglio. Scendo dal bus e attraverso il paese, deserto. In estate dev’essere tutt’altra musica, suppongo. La spiaggia di Zambujeira -stando ai cartelli informativi che ne dominano l’entrata- è un piccolo gioiello. Sempre secondo la medesima fonte, è proibito il bivacco. Ma che un poliziotto decida di andare a controllare in piena notte, d’inverno, è tanto probabile come incontrare un albino in un solarium. Le sensazioni provate in una notte d’inverno (mite), solo, in riva all’Atlantico possono così essere riassunte (in ordine strettamente cronologico): curiosità,
eccitazione, disagio, paura, calma, libertà, pace. Al risveglio si potrebbe poi aggiungere “mal di schiena” alla lista.
Sono le 7 del mattino, Zambujeira era un deserto alle 9 di sera e continua ad esserlo 10 ore più tardi. L’umidità della notte passata all’addiaccio chiede d’esser lavata via da una buona tazza di caffè fumante ma di bar aperti non ce ne sono. Sao Teotonio sembra essere la cittadina più prossima, 10 Km. Ancora autostop e ancora una strada senza traffico alcuno. Rassegnato, mi incammino a piedi, in fondo 10 Km a piedi si coprono in 1 ora e mezza. “1 ora e 25, 1 ora e 15… 1 ora…” dopo mezz’ora di cammino e con zero auto incrociate, il mio umore va rapidamente slittando da gaio a tranquillo a impaziente a stanco a incazzato col mondo e soprattutto con le maledette auto che, non avessi bisogno di una, sicuramente sarebbero qui a migliaia. Ripensandoci, in prospettiva, niente giustificava tale sbalzo d’umore. Né l’iniziale entusiasmo né la conseguente rabbia impotente. Ma dopo tutto, se così non fosse, sarei un illuminato, un antico filosofo capace di individuare i principi dell’esistenza senza trasformare la vita in un inquieto mare di infinita ricerca.
Ma anche a Zambujeira do Mar mangiano pane e il panettiere di Sao Teotonio tornava appunto dal suo quotidiano viaggio di distribuzione. I dolci effluvi che si respirano all’interno del van del fornaio al mattino, risultano, se si è a stomaco vuoto, come la peggiore delle torture. Cerco di mantenere una “faccia da poker” e non lasciar trasparire la bramosia di cibo che mi pervade, ma evidentemente fallisco nel tentativo e il giovane panettiere, un ventenne che parla piuttosto bene l’inglese, prima mi invita a far colazione nel bar del paese, quindi mi regala una baguette “per il resto del viaggio”. Buon appetito!
Chiudo l’esperienza portoghese a Faro, nell’estremità sud-orientale del Paese. Da qui proseguirò in bus fino a Cadice dove conto di imbarcarmi per le isole Canarie e da lì, sempre via mare, fare mare-stop verso le Americhe.
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