Jharkhand e l'oro nero dell'India


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Asia » India » Jharkhand » Ranchi
February 18th 2017
Published: February 22nd 2017
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2 settimane lontani dall' India e gia' se ne avverte la mancanza; del traffico impossibile, della marea di gente che ti circonda, del rumore ad ogni ora, dell'immondizia gettata dappertutto, degli autobus stracolmi, delle fogne a cielo aperto e delle puzze che ti assalgono: ebbene si', sotto sotto mi sento un po in colpa per essere fuggito alle Andamane, col suo mare e l'aria pulita, lontano dal caos che governa il subcontinente: troppo facile direbbe qualcuno!

E' con questo spirito di sfida che mi imbarco da Port Blair sulla nave che in tre lunghi giorni mi riportera' indietro e a bordo della quale avro' modo di studiare la situazione e decidere sul da farsi. Dopo lunghe notti insonni dovute al pianto degli onnipresenti neonati al seguito delle famigli indiane, decido di tentare il tutto per tutto e dirigermi ad esplorare uno degli stati piu' inospitali e sconosciuti di tutto il paese, il suo centro minerario, regno di foreste ed industrie pesanti, l'isolato e poco conosciuto Jharkhand. Treno notturno da Visakhapatnam ad Howrah, minibus urbano fino alla stazione di Kolkata, autobus statale fino ad Asansol, ai confini del West Bengala, autobus locale per Dhanbad ed autorikshaw dalla stazione al centro; eccomi nel cuore dell'industria estrattiva indiana, la terra da cui viene ricavato gran parte del carbone che serve a far funzionare questo immenso paese (il resto viene importato, principalmente dall'Australia), una benedizione ma anche una condanna per tutti quelli che qui si sono ritrovati a vivere e a lavorare.

Dhanbad e' una citta' discretamente anonima, mediamente sporca e con un accettabile livello di traffico, ma quello che veramente mi interessa si trova appena fuori dai suoi sobborghi: miniere a cielo aperto di carbone a perdita d'occhio, grosse buche scavate nel ventre della terra ed alte colline di scorie si dispiegano alla vista, il tutto filtrato da un sottile strato di polvere nerastra e da una persistente coltre di foschia minerale. Quella di Jharia e' senza dubbio quella piu' celebre tra tutte quelle presenti, non tanto per la sua produttivita' o per la qualita' del suo ricavato, ma per lo strano fatto che la miniera sta lentamente andando a fuoco! ormai da piu' di 100 anni infatti, le fiamme si sprigionano dal sottosuolo e nessuno ha mai trovato un rimedio a questo problema, o forse piu' semplicemente nessuno se ne e' mai voluto interessare; sta di fatto che in mezzo a questo ambiente infernale centinaia di persone continuano a svolgere il loro lavoro come se nulla fosse. Date le dimensioni, la miniera non e' protetta da nessun tipo di recinzione e ci si puo' cosi' addentrare e percorrere le strade sterrate usate da imponenti autocarri ricolmi di carbone, grossi escavatori dalle sembianze animalesche e grandi pale che raccolgono il prezioso minerale; qua e la' i fuochi sembrano dare sfogo all'immensa energia imprigionata nel sottosuolo e consumano lentamente la massa di cui si nutrono. Facendo attenzione ad evitare le aree piu' esposte, ci si potrebbe incamminare verso il fondo del pozzo senonche' un guardiano messo li' non a caso mi invita cortesemente a tornare sui miei passi; non che ci si possa fidare molto comunque: un cartello indica l'ora delle esplosione alle 2 del pomeriggio, ma in caso di un cambio di programma sono certo che nessuno passerebbe a controllare. Decido allora di salire su una grossa collina artificiale, in un ambiente lunare animato solamente da qualche strana figura di passaggio diretta forse in un dei villaggi che sorgono qui attorno, abitati da minatori clandestini o trasportatori di carbone in bicicletta; giu' in basso una grossa pala provoca il cedimento di una parete dalla quale si sprigionano nuove fiamme; decido di avvicinarmi ulteriormente per ammirare lo spettacolo ma proprio a questo punto alcuni operai si lasciano insospettire dalla mia presenza e chiamano un loro superiore: segue una sfilza di domande e richiesta di spiegazioni, alla fine delle quali vengo invitato bruscamente a togliermi dai piedi abbandonando la miniera. Poco male, dopo ore passate sotto il sole tra la polvere e le fiamme decido con piacere di ritornare a Dhanbad, tra i suoi rumori ed il suo familiare caos urbano.

Ma lo Jharkhand non e' solo carbone, bisogna ammetterlo; tra le sue colline trovano rifugio gruppi di ribelli maoisti e nella capitale, la gradevole Ranchi, il governo dello stato e' ritenuto uno dei piu' corrotti tra tutti quelli del paese, ma questa e' una classifica difficile da stabilire, dato l'alto numero di contendenti... Qui pero' sorge anche un tempio dedicato a Jagannath, come quello che a Puri e' assolutamente off limits per i non hindu: qui l'accesso e' libero, ma forse solo per il fatto che nessuno si aspettava visitatori stranieri, e nel sacrario interno fanno bella mostra di se' gli idoli del grande dio senza braccia Jagannath e dei suoi fratello e sorella senza mani, tutti con i grandi occhi sbarrati per un motivo che adesso non ricordo. C'e' grande trepidazione in questi giorni nella capitale perche' sta per svolgersi un incontro aperto a tutti gli investitori stranieri desiderosi di stabilirsi in questa sorta di paradiso in terra: per questa grande vetrina internazionale il motto scelto e' un audace "Momentum Jharkhand", il simbolo un piu' realistico elefante con le ali, il padre della manifestazione il baffuto capo dello stato Das e la star chiamata ad attirare l'attenzione dell'uomo comune e' il figlio piu' famoso di Ranchi, l'ex capitano e stella della nazionale indiana di cricket, Mahendra Singh Dhoni.

Non essendo stato ufficialmente invitato alla festa, decido di allontanarmi dai grossi centri urbani ed industriali dello stato (qui le citta' hanno nomi tipo "Bokaro Steel City", "Tatanagar", "Jamshedpur", dal nome del fondatore della Tata) per dirigermi verso le colline ed inoltrarmi nelle foreste inesplorate della regione, regno incontrastato dell'animale simbolo dell'India: la tigre. Nei pressi di Daltonganj sorge il piccolo villaggio di Betla, porta d'accesso al poco frequentato parco nazionale di Palamau nel quale, oltre alle classiche escursioni in fuoristrada alla ricerca degli animali piu' ambiti e sfuggenti, e' anche possibile affittare un elefante e compiere delle tranquille escursioni nei primi tratti della foresta. Trovo allora ospitalita' nello spartano lodge delle guardie forestali, accanto al quale e' situata anche la stalla degli elefanti a riposo, tristemente incatenati ad un palo piantato nel terreno; passo la serata nell'unica rivendita di cibo di tutto il paese ed il mattino dopo di buon'ora varco il cancello del parco ed apprendo, con un poco di sconforto, che non saro' l'unico passeggero sull'enorme pachiderma ma saro' accompagnato da altri due turisti indiani, che gentilmente si offriranno di pagare anche la mia parte del seppur esiguo compenso per l'escursione: 6 euro all'ora per vivere un'esperienza emozionante seppur decisamente scomoda. Niente tigri ovviamente, solo cervi, scimmie langur (abitano anche nelle citta'...), uno scoiattolo gigante indiano e degli strani uccelli tucaniformi, ma soprattutto un grande elefante sotto i nostri culi a ricordarci le straordinarie opportunita' che ci offre questo sconosciuto,incredibile Jharkhand!


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