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Mohammed veste
djellabah e
tarboosh ma dentro è tanto occidentale quanto la comitiva di Inglesi pallidi cui mi sono accodato per errore ad Algeciras. Siamo a Ceuta, enclave Spagnola in territorio Marocchino, e Mohammed è la nostra guida. È alto e di costituzione snella solo corretta da una vistosa pancia, chiaro segno di benessere economico. Porta i baffi e un paio di occhiali da sole fumè da pappone anni ’70. Io odio le gite organizzate in genere e le guide in particolare. Per norma generale, alla seconda o terza domanda imbarazzante, anche le guide odiano me.
In realtà il Marocco non entrava nei miei piani di viaggio, ma a Cadice avevo scoperto che la nave per le isole Canarie salpa solo di mercoledì e che non v’erano posti disponibili fino alla settimana seguente. Mi ritrovavo così con una settimana “libera” e col Marocco a un tiro di schioppo. Un’occasione da non sciupare. Arrivato poi ad Algeciras, ero caduto nella trappola per polli tesa dal traffichino di turno (tale Javier) e così, a cambio di 40€, qui mi ritrovo a dover sopportare le scialbe, ovvie battute di Mohammed e le altrettanto insipide risposte di due dozzine di pecorelle che intanto scattano
foto a raffica nonostante i vetri del bus.
L’attraversamento di confine è una brezza d’estate. Cinque minuti di sosta sufficienti a far aprire la barriera doganale come le acque del Mar Rosso al passaggio di Mosè. Evidentemente i 40€ includevano una “mancia” per gli incorruttibili gabellieri Marocchini. Dal comfort aria-condizionato del nostro bus si apprezza il frenetico sforzo di migliaia di Maghrebini, donne e uomini, che attraversano la frontiera in ambo le direzioni, impegnati in un continuo mercato nero, che poi così nero non dev'essere visto che si svolge proprio sotto gli occhi dei doganieri.
Tetouan è la nostra prima fermata. In un’ora di autobus Mohammed ha avuto modo di ammaestrare il suo gregge a dovere e siamo quindi pronti a seguirlo nei bazar da lui scelti in maniera del tutto casuale e disinteressata onde evitare truffe, rapine e -Allah non voglia- morte, in caso decidessimo di fare di testa nostra. Un pasto incluso nel prezzo lega la mia sorte a quella di Mohammed. Lo manderò a cagare a stomaco pieno. Il pranzo consiste di una zuppa di verdure, due spiedini conditi da una salsa rossa, oleosa e piccantissima e l’immancabile cous-cous, piatto nazionale marocchino. Tutto buonissimo. Tempo
di addii.
Finalmente solo, chiamo Tim, un amico ingegnere Tedesco che vive e lavora a Casablanca e ci diamo appuntamento alla stazione ferroviaria di quella città. Ora, un uomo bianco, solo e privo di pastore in
djellabah non passa inosservato in Marocco, credetemi. E così, orde di scocciatori mi avvicinano cercando di vendermi qualsiasi cosa, hashish in primis. Rifiuto ogni offerta con fare sempre meno amichevole e mi chiedo perché, quando si parla di razzismo, solo si consideri tale quello dei bianchi nei confronti degli “altri”. Non è forse questa una forma di razzismo? Se la mia pelle fosse più scura a nessuno qui verrebbe in mente di cercare di turlupinarmi. Finalmente trovo un’agenzia di viaggi e compro il biglietto per Casablanca: 7 ore di viaggio, 120 dirham (ca. 12euro). Le mie finanze respirano.
Siedo in un café popolato esclusivamente da clienti uomini e bevo un tè alla menta zuccheratissimo in attesa del bus (la stazione ferroviaria più prossima è a due ore di distanza da Tetouan). Un giovane in stampelle si avvicina e chiede permesso per sedersi al mio tavolo. Lo invito ad accomodarsi nonostante l’iniziale diffidenza. In fondo non potrei passare una settimana sospettando delle intenzioni
di ogni essere umano che mi avvicina, che senso avrebbe il viaggio? Il mio nuovo co-avventore si chiama Abdullah, ha vissuto in Spagna durante due anni e ne padroneggia l’idioma in maniera invidiabile. Un gruppo di giovanissime vestite in abiti tradizionali marocchini passa davanti al café e Abdullah ne elogia tanto la bellezza quanto la “serietà”. Gli chiedo di spiegarsi meglio e Abdullah decide di darsi un bagno di superiorità razziale e incomincia a raccontarmi quanto facili le Europee siano. Mi parla della “sua” donna Spagnola con irriverenza ributtante. Quindi incomincia l’ovvio, temutissimo elogio alla verginità della donna. Terminata la pedissequa ripetizione del copione, mi chiede se io sposerei una donna non illibata. Gli rispondo che in realtà non mi sono mai posto il problema visto che non ho mai considerato l’idea di sposarmi ma che, nel caso cambiassi idea, il numero di precedenti amanti della prescelta non sarebbe affar mio. Apriti cielo. “Quindi tu sposeresti una ragazza che è già stata con altri uomini? Così poi, mentre passeggiate sottobraccio incrociate il suo ex fidanzato e i suoi amici ridono di te ricordando quando lei glielo succhiava al loro amico” me lo grida in faccia e davvero non capisco perché
si scaldi tanto. Se tanto mi da tanto, avessi insinuato di aver toccato le tette di sua sorella mi avrebbe sgozzato come un agnello prim’ancora di pronunciarne la terza “t”. Per fortuna arriva il torpedone e posso così liberarmi della presenza di quest’infelice.
Il viaggio verso la stazione di El Ksar el Kbir offre tutta l’arida tristezza del paesaggio marocchino, condita per di più da un senza fine di buste di plastica ad insozzarne strade e campi. Ci fermiamo in un’area di servizio lungo il percorso. Si compone di una pompa di benzina, di una specie di bar all’interno del quale una folla esclusivamente maschile segue a bocca aperta le evoluzioni di Steven Seagal su una piccola televisione con l’audio fuori tono e di un bancone con su delle scatole per scarpe contenenti dolciumi letteralmente assediati da fameliche mosche. I clienti sollevano il coperchio, tastano, negoziano col barista poi a volte comprano a volte rimettono la merce palpeggiata nella scatola. Opto per una merendina confezionata. 3 dirham mi dice il barista in francese. “Combien?” rispondo io, “2 dirham e 50” fa lui. Pago 2.50 dirham, mi viene da ridere. Gli avevo chiesto il prezzo per la seconda volta perché
non capisco bene il francese, non per mercanteggiare, ma tale è la loro abitudine a farlo. Certo, vista la velocità con cui è sceso da 3 a 2.50, intuisco che un locale avrebbe avuto la stessa merendina quasi gratis.
Casablanca offre tutt’altro aspetto. Le ragazze vestono in jeans e maglietta e anche quelle che coprono i capelli con un fazzoletto lo fanno in maniera da attirare attenzioni, non repellerle. Un giorno, proprio di fronte all’entrata del bar del famoso film con Humphrey Bogart, conosco Sari, una ragazza dalla pelle di un color mogano intenso, reso ancor più vistoso dall’immacolata camicia bianca che indossa. Ha i capelli scoperti e raccolti in finissime treccine ed è bellissima. Prima di andar via mi da appuntamento nella vicina
kasbah alle 9 di quella stessa sera. Mi torturo durante tutto il giorno nella scelta fra: a) andare e magari ritrovarmi il giorno dopo sulla prima pagina dei giornali come “un’altra vittima della famigerata gang di trafficanti d’organi della kasbah” o b) non andare e lasciare una delle più belle donne mai conosciute aspettarmi per ore prima di tornarsene a casa pensando “mia madre mi aveva avvisato su come sono gli uomini”. Ceno con Tim
e a lui chiedo consiglio: “Secondo te è un invito genuino o rischio di risvegliarmi in una vasca piena di ghiaccio?” “Come?” -dimentico sempre che Tim è Tedesco- traduco: “è un vero invito o solo un’esca per attirarmi nella Kasbah di notte?” Mi risponde che nella Kasbah di notte non entra nemmeno la polizia. Un altro amore morto sul nascere.
La mia ultima notte a Casablanca, sabato, Tim e i suoi amici mi portano all’
Etoile de Marrakech, un locale notturno con musica (araba) dal vivo, birra e
shishah. L’arredamento interno è, a detta di Anne, come la tipica casa Marocchina, priva cioè di tavoli e sedie, rimpiazzati da una miriade di cuscini. Ci sono ragazze in abiti succinti e chiedo ad Anne se sono anch’esse clienti. No, sono adescatrici, 300 dirham (ca. 30euro) per notte e, aggiunge, “se non fossimo seduti insieme sarebbero già venute a proporsi”.
Tra gli stupendi amici Marocchini di Tim ce n’era uno in particolare, Abdil, che ben poco aveva a che spartire coi retrogradi incontrati nel nord del Paese. Un giorno gli ho chiesto perché secondo lui i Marocchini insistano tanto sulla necessaria verginità femminile. “Perché vivo in un Paese di dementi che rifiuta di usare il cervello. Qui a Casablanca è pieno di cliniche che “ricostruiscono” la verginità di una donna prima di un potenziale matrimonio, basta pagare. E lo sanno tutti qui in Marocco, eppure…”.
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Marcolitaliano
Marcoelitaliano
Sempre sulle mie orme
Autore: Marco Penna Data: 15 Marzo 2007 Nessuna presunzione man, certo che mi fa ridere che i miei ultimi viaggi francesi,spagnoli e marocchini sono stati molto simili ai tuoi, x mia fortuna data la vecchiaia e la figlia in arrivo ho goduto della mia compagnia dopo 15 anni di viaggi solitari(al momento di partire e di tornare, però!) e x fortuna pure tua che di sposarti nn ne hai intenzione(memorabile la battuta della terza t). la pizza delle nazioni unite è quella del bar di casablanca dove hai ucciso un altro amore sul nascere! ciau mp