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Published: August 18th 2007
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Kashan, 3 ore di bus a Sud di Tehran, e' proprio quello che mi aspettavo dalla Persia: una citta' dal ritmo lento, segnato dal movimento del sole, che si ferma completamente nelle ore piu' calde della giornata per poi riprendere cautamente a vivere solo verso sera con l'oscurita', quando la temperatura ritorna a livelli accettabili.
Scelgo come rifugio pomeridiano una camera alla Golestan guesthouse, non proprio economicissima ma accogliente e ben attrezzata: ho perfino un tavolo ed una sedia, gran lusso di questi tempi, e poi un frigo in comune che riempio subito con provviste per almeno una settimana.
Passo cosi' i primi 3 giorni ad oziare, scrivere, mangiare meloni e guardare la vita del paese scorrere lentamente nella piazza sottostante.
Ma la citta' offre molto di interessante, a partire dalla parte piu' antica che e' completamente costruita con mattoni e fango, su cui svettano numerosi badghirs, le torri del vento usate come condizionatori d'aria naturali; sono state poi ristrutturate di recente alcune case storiche che, aperte al pubblico, danno l'idea di come anche in questi luoghi sperduti ci si possa abbandonare a stili di vita sfarzosi ed opulenti.
Degne di nota sono le alte mura di fango della cittadella che
racchiudono due grosse costruzioni di forma conica dalla funzione a me sconosciuta oggi usate come depositi per rifiuti; vengo poi a sapere che anticamente erano usate come ghiacciaie per conservare la neve. La neve.
Oltre alle solite moschee e medresse, il bel bazar coperto si rivela una fonte di buoni affari e nasconde una scala che porta sul tetto da cui la vista spazia su tutta la citta' ed oltre: montagne e deserto a perdita d'occhio.
Come escursione culturale di una giornata mi dirigo ad Abyaneh, un piccolo villaggio di case d'argilla rossa che si erge sulla montagna dominando una fertile valle ricca di piante da frutta (il pasto e' assicurato): qui si parla uno strano dialetto, o lingua, differente dal persiano e buona parte degli abitanti sono di origine afghana, hazari dai tipici tratti mongoli.
Piove a dirotto e, trovandoci in pieno deserto, siamo stupidamente sprovvisti di impermeabili: ci rifugiamo in una vecchia casa dove ci viene offerto del pane cotto all'istante in una buca nel pavimento, e che ci viene servito ad una temperatura piu' o meno simile a quella del fuoco; nonostante le dolorose ustioni su gran parte delle mie mani, rimane il pane piu' buono che
abbia mai assaggiato.
Tornando a Kashan, lungo la strada si possono ammirare miniere di uranio e laboratori atomici, un paesaggio tipico di queste zone...
Desiderosi di assoluto riposo, ci rechiamo ai Bagh-e' Tarikhi-ye' Fin, i famosi giardini che rappresentano la classica versione persiana del paradiso: piante e fiori, prati, una sorgente di acqua fresca e tanta ombra, il tutto racchiuso da alte mura; come paradiso non e' prorpio il massimo, ma da queste parti ci si accontenta, e si puo' ben capire.
La giornata trascorre lenta sorbendo litri di chay e mangiando dizi, una grande fagiolata che va predigerita in un vaso di terracotta frantumandola con un grosso pestello.
Dopo tante ore trascorse nell'aldila' ritorniamo sulla terra e facciamo rientro a Kashan per la nostra ultima notte: lascio temporaneamente il paradiso per addentrarmi in terre aride e desertiche ma sono sicuro che, presto o tardi, in un luogo come questo ci ritornero'....
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