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Published: March 9th 2016
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Giava è l'Indonesia classica e tradizionale che tutti conoscono ed il più delle volte il termine "indonesiano" può essere tranquillamente sostituito da "giavanese"; Giava però, prima di essere indonesiana è innanzitutto giavanese ed i suoi abitanti non esiteranno a ricordarvelo. Ho viaggiato per le Molucche e lungo Papua ma non posso dire di aver visto questo paese senza prima aver messo piede sulla sua isola madre ed aver vissuto una pura esperienza giavanese, cioè indonesiana.
Mi rimangono solo una decina di giorni che cercherò di sfruttare al meglio attraversando l'isola da Est ad Ovest. Prima tappa Surabaya, nome che nelle lontane lande ai confini dell'impero evoca immagini di ricchezza ed abbondanza, modernità e progresso; è questo infatti l'estremo lembo di terra da cui salpano gli emigranti in cerca di fortuna nelle isole più sperdute dell'arcipelago, l'ultima tappa prima del salto nel buio e del ritorno all'età della pietra. Io ripercorro il viaggio a ritroso e per me la città rappresenta il ritorno alla civiltà, con le sue strade intasate dal traffico, mall gigantesche che sorgono sui vecchi quartieri popolari di un tempo, chilometri di strade asfaltate che non portano a nulla di interessante ma anche ristoranti e negozio di ogni
genere, locali underground e concerti di Gamelan (orchestra tradizionale giavanese di piatti, gong e pentole in cui il triangolo riveste un ruolo di primo primissimo piano...), docce a luci rosse ed indicatori cromatici del livello di idratazione nei bagni pubblici: come ho potuto farne a meno per tutto questo tempo?? Ripresomi dallo shock corro a visitare il vero motivo della mia presenza qui a Surabaya: la casa-museo Sampoerna e la fabbrica dove vengono prodotte le amatissime sigarette Dji-Sam-Soe (uno-due-tre) e tutte le altre marche più o meno famose ma sempre pronte a soddisfare le esigenze dell'insaziabile mercato indonesiano del tabacco. In pochi parlano bene di questa città: io in così poco tempo ho imparato ad amarla!
Sei ore di treno, classe "Ekonomi", e seconda tappa in quel di Djodjakarta, o Yogyakarta, detta Jogja o Yogya e pronunciata in decine di varianti; è la città maggiormente intrisa di storia, arte e cultura di tutta l'isola, l'unica ancora governata dal suo sultano e probabilmente anche la più turistica di tutta Giava (seconda solo a Bali a livello nazionale). Qui stranieri ed indonesiani, tanti indonesiani, affollano le sue strade, i suoi musei (roba seria, non storia delle sigarette ai chiodi di garofano...)
ed i suoi negozi, mentre io andrò dal barbiere e mi godrò l'atmosfera d'altri tempi di una fantastica villa coloniale trasformata in guest-house e mi trasferirò dopo solo un paio di giorni nel vicino villaggio di Borobudur. Ebbene sì, questo nome non indica solamente il monumento più visitato di tutta l'Indonesia ma anche il piccolo agglomerato di case che vi sorge attorno, tappa fondamentale della mia esperienza giavanese mordi e fuggi. Non sprecherò del prezioso inchiostro cercando di descrivervi questo illustre capolavoro di arte buddista ed il meraviglioso paesaggio naturale che lo circonda. Il tempo stringe, abbandono Jogja (o Jokya, o Djokja...): otto ore di treno, questa volta in classe "Eksclusive" senza bambini tra le gambe, diretto verso la capitale; il tempo nuvoloso mi impedisce di godermi appieno il paesaggio (rimpiango il calore umano della classe inferiore) ma comunque ho appena scoperto che la tratta più panoramica è quella tra le montagne che passa per Bandung, e quindi non la mia.
Arrivo a Jakarta e mi sistemo in Jalan Jaksa, come tutti, tra zanzare, prostitute e grattacieli in costruzione. Sbarcai in questa città per la prima volta due mesi fa e riuscii casualmente a farmela piacere (nel frattempo le
fotografie sono andate perdute...) ma adesso, dopo essere stato a Surabaya, non c'è storia! Stanco e sconsolato salgo per la prima volta nella mia vita su un autobus turistico a due piani, gratuito, che mi porterà in giro a visitare i luoghi più interessanti del centro storico, se non che, sempre più stanco e sconsolato, sbaglio direzione salendo dal lato opposto della strada (dannata guida a sinistra) e mi ritrovo imbottigliato nel traffico per tre noiosissime ore nel moderno quartiere degli affari, tra colate di cemento e sciami impazziti di pendolari.
Oggi lascio il paese. Entro in aeroporto, saluto l'Indonesia e svesto i panni del mercante.
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