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Published: October 31st 2007
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Questa Cina non finisce mai di stupire: mi spingo sempre piu' ad oriente con l'intenzione di entrare nel cuore del paese ed eccomi... in Tibet!
Ufficialmente non e' proprio cosi', mi trovo infatti nella provincia del Gansu, che si allunga da Ovest ad Est per piu' di mille chilometri, ma una volta raggiunta la grande metropoli di Lanzhou, vero e proprio volto della nuova Cina proiettata verso il futuro, a sole 4 ore di autobus si entra in un paesaggio fatto di grandi montagne, vasti pascoli e mandrie di yak: e' questa la storica regione dell'Admo, per secoli parte integrante, e di non poca importanza (l'attuale Dalai Lama ne e' originario), del regno del Tibet.
Raggiungo Xiahe, la cui citta' monastica e' seconda per importanza solo a quella di Lhasa: qui giungono da tutta la regione circostante migliaia di pellegrini e per tutto il giorno una lunga processione percorre il circuito di tre chilometri attorno al complesso di edifici sacri facendo ruotare le numerose ruote di preghiera, innalzando cosi' al cielo le invocazioni su di esse dipinte e contenute.
Il monastero di Labrang, fondato nel 1709, ospita al suo interno piu' di 1000 monaci dell'ordine dei Gelugpa, i berretti gialli, una
delle sette del buddismo tibetano; oltre al tempio principale, la citta' contiene un'altra dozzina di templi e santuari, vari istituti di insegnamento, veri e propri "college" per giovani aspiranti monaci, le abitazioni dei buddha viventi e le residenze di tutti gli altri monaci.
Di buon'ora, bardato di tutto punto per resistere ad una temperatura polare che non raggiunge gli zero gradi, mi reco alla citta' monastica in tempo per assistere alla preghiera del mattino, ed eccomi catapultato in un altro mondo: nell'oscurita' della grande sala, profumata dal fumo dei rami di cipresso ed appestata dall'odore delle candele al burro di yak, risuona il canto cupo e gutturale di centinaia di monaci vestiti di porpora che siedono in fila intonando vecchi mantra; tutt'attorno, rappresentazioni del Buddha osservano pacifiche lo svolgimento di queste funzioni.
All'esterno, col passare delle ore, cresce la folla di pellegrini che percorrono in senso orario le vie attorno agli edifici sacri; alcuni di essi coprono l'intero circuito prostrandosi completamente a terra per tutta la lunghezza del proprio corpo fino a toccare il suolo con la fronte, proteggendosi solamente con guanti alle mani ed un lungo grembiule. Cosi' per tutto il giorno e per tutti i giorni: monaci e
pellegrini impegnati in una devota preghiera.
Io mi allontano dopo sola mezza giornata e vado a fare un giro per l'altra citta', divisa tra quartiere tibetano, musulmano e cinese; ovviamente anche qui il progresso avanza e nuovi edifici vengono costruiti al posto dei vecchi, cercando solo superficialmente, e senza neanche riuscirci bene, di mantenere quel classico stile tibetano che da sempre e' stato usato in questa parte del paese.
Dopo due giorni di immersione completa nella spiritualita' di questo piccolo mondo, ridiscendo valle, nella frenetica ed inquinata Lanzhou; essendo ormai fuori stagione, ho dovuto anche rimandare la visita alle promettenti "praterie di Ganjia", a soli pochi chilometri di distanza, ma la loro ubicazione e' ormai saldamente memorizzata nel mio cervello.
Saluto dunque i pelati monaci di Labrang, i giovani tibetani dai capelli lunghi ed il pugnale alla cintola, le donne dal viso scottato dal sole, i vecchi pellegrini che trascinano i loro corpi stanchi attorno al monastero, li lascio sperando un giorno di ritornare e trovare intatta la loro fede e la loro esemplare forza d'animo.
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